martedì 16 giugno 2009

NUOVO BLOG!

Siamo qui!

mercoledì 3 giugno 2009

Il matrimonio omosessuale: parità di diritti e riconoscimento sociale.

Venerdì 19 Giugno, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano, si terrà la tavola rotonda dal titolo Il matrimonio omosessuale: parità di diritti e riconoscimento sociale organizzata da Milk Milano in coordinamento con il Centro Interdipartimentale di Studi e Ricerche "Donne e Differenze di Genere" e la rete di avvocatura "Lenford".

L'evento, aperto al pubblico, prevede la partecipazione di docenti e ricercatori incardinati presso le università di Milano, Udine, Bergamo e del Piemonte Orientale, oltre che di rappresentanti di Rete Lenford.

Punto focale del dibattimento sarà il matrimonio tra persone dello stesso sesso in rapporto alla realtà nazionale (sia da un punto di vista legislativo-giuridico che sociologico), al fine di offrire una attenta ed aggiornata analisi sullo stato della questione e sulle possibilità attuali nel contesto normativo italiano.

Nata dalla necessità di fornire alla dibattuta questione uno sguardo oggettivo e il più possibile informato, la tavola rotonda, pur mantenendo un taglio contenutistico accademico, è studiata per (e rivolta a) un pubblico non necessariamente specialistico.

Iscriviti all'evento su Facebook!

domenica 31 maggio 2009

In cucina con Milk: torta sì, ma anche ipocalorica


Frequentando gli ambienti degli appassionati di gastronomia e cucina ci rendiamo conto che la maggioranza delle persone non riesce a gestire il proprio hobby senza andare in sovrappeso, e ciò nonostante rifiuta ogni tentativo di adottare un modello di cucina "dietetica", o meglio un modo di cucinare compatibile con il mantenimento del peso forma. I piatti di alcuni chef di alta cucina hanno poche calorie, ma non saziano perché le porzioni sono microbiche.

Le caratteristiche chiave di un modello di cucina veramente ideale, che in pochi considerano, sono la sazietà e l'appetibilità dei piatti: è su questi parametri che bisogna giocare per impostare vincoli salutistici efficaci.

La soluzione sta nell’imporre dei vincoli sulla densità calorica che garantisca il giusto compromesso tra potere saziante e gusto.

Oggi, quindi, oltre a proporvi la ricetta della classica “torta Pasqualina” (un attentato alla linea visto che una fetta contiene circa 480 kcal), realizzeremo insieme una versione ipocalorica di questa torta salata.



TORTA PASQUALINA (classica)

Per la pasta:
• Pasta sfoglia pronta xD
Su ragazzi, non siamo ipocriti, chi mai si metterebbe a cucinare una torta salata, se dovesse anche preparare la pasta sfoglia!
La possiamo trovare già pronta surgelata, e nessuno oserà mai contraddirci se affermeremo che l’abbiamo fatta noi con sufficiente convinzione!

Per il ripieno:
• 500g di bieta o spinaci
• 200g di ricotta
• 50g di burro fuso
• 6 uova
• 1 cucchiaio di maggiorana
• 4 cucchiai di parmigiano grattugiato
• 4 cucchiai di pecorino grattugiato
• 1 bicchiere di latte
• 1 bicchiere d’olio
• sale e pepe


Accorgimenti per la pasta sfoglia:
Dovete sapere che la pasta sfoglia è non è impastata come si farebbe con un qualsiasi altro tipo di impasto, ma sovrapponendo e piegando su se’ stessi varie volte un panetto formato in prevalenza da burro ed uno da farina. E’ proprio questo tipo di lavorazione che conferisce alla pasta, dopo la cottura, la classica struttura a millefoglie.
Perché vi dico questo? Semplice: quando farete decongelare la pasta sfoglia che avete acquistato, non fate assolutamente l’errore di reimpastarla, altrimenti vi troverete con una pasta sfoglia senza sfoglie!

Lasciate quindi decongelare la pasta a temperatura ambiente, srotolatela e stendetela per raggiungere lo spessore e grandezza desiderata, solo quando sarete in grado di farlo senza romperla. Nel caso si formasse qualche buco, potete naturalmente porre rimedio giungendo il due lembi, ma assolutamente non amalgamate la pasta, mi raccomando!
Questi consigli sono validi per qualsiasi preparazione a base di pasta sfoglia.


Preparazione:
Pulire la bieta, lavarla e cuocerla in una casseruola con poco sale, senz'altro. Cuocere a fuoco basso, e con il coperchio, per 6 minuti. Appena cotta strizzarla bene, tritarla finemente e metterla in una ciotola grande.
Aggiungere la ricotta sbriciolata (o il latte cagliato), 2 uova intere, il parmigiano grattugiato, metà pecorino e la maggiorana: se l'impasto è troppo solido, ammorbidire con il latte.
 Foderare con una sfoglia uno stampo apribile, unto d'olio, ungere la sfoglia con un pennello intinto nell'olio e sovrapporne a una a una, le altre due, ungendole sempre con l'olio tranne l'ultima.
Disporre il ripieno e con un cucchiaio scavare 4 incavature in cui si porranno le uova intere, crude. Salare e cospargere con il resto del pecorino. Chiudere con una sfoglia di pasta e sovrapporvi le altre due, sempre ungendo con il pennello da cucina la superficie tra una e l'altra. 
Sigillare con i ritagli di pasta formando un cordone tutt'intorno al bordo. Ungere la superficie con un po' d'olio e perché risulti più dorata, con parte di un uovo intero battuto; bucare la superficie con uno stuzzicadenti, facendo attenzione a non rompere le uova e infornare in forno già caldo, a 200°C, per 40 minuti.


TORTA PASQUALINA (versione ipocalorica)

Un ottimo compromesso fra gusto e leggerezza, può però anche essere raggiunto seguendo la seguente ricetta:

Per la pasta:
• Per la pasta, seguiamo gli stessi accorgimenti della torta Pasqualina classica, possiamo però evitare di richiudere la sfoglia sopra la torta. In questo modo useremo meno pasta sfoglia e avremo la possibilità di giocare con i colori del ripieno per la decorazione (vi spiegherò in seguito)


Per il ripieno:
• 500g di bieta o spinaci
• 200g di ricotta
• 1 uovo
• noce moscata
• 40g di parmigiano grattuggiato
• 40g di pecorino grattugiato
• il succo di mezzo limone
• 1 spicchio d’aglio
• Mezza cipolla piccola
• sale e pepe

Preparazione:
Cuocere la bieta in padella a fuoco basso per 6 minuti (o comunque finchè è necessario se state usando la bieta congelata) con il succo di limone e lo spicchio d’aglio tagliato a pezzettini. A cottura ultimata, strizzate bene le bieta, è fondamentale, in modo da non avere una torta troppo umida e poco cotta.
Unite nel mixer la bieta, la ricotta, il parmigiano, la cipolla, sale, pepe e la noce moscata (grattugiata naturalmente), e tritate finchè il composto non raggiunge la grana da voi desiderata (io lo preferisco a grana grossa, altrimenti diventa troppo cremoso).
Foderate una tortiera con della pasta da forno, e stendetevi la pasta foglia in modo sforando leggermente dai bordi, in modo da avere poi la possibilità di richiudere la pasta sull’impasto per circa 2 o 3 centimetri.
Accendete il forno a 180°C.
Prendete l’uovo e separatene l’albume dal tuorlo, montate a neve ferma l’albume ed incorporatelo delicatamente al ripieno.
A questo punto versate il ripieno nella tortiera, ripiegate all’interno i bordi di pasta sfoglia in eccesso, ed infornate. La cottura richiede circa 50 minuti, ma questo dipende anche da come avete strizzato le biete e dall’altezza della torta che state realizzando. La soluzione migliore è aspettare che la superficie del ripieno, sia leggermente dorata, a quel punto sfornare la torta, con il retro del cucchiaio premere al centro di essa per formare una cavità in cui disporre il tuorlo dell’uovo che avevamo conservato, versarvi all’interno l’uovo e infornare per altri 10 minuti, o finchè l’uovo è cotto.
Servire tiepida o fredda (meglio appena tiepida) con una spolverata di pepe.

martedì 26 maggio 2009

TRANSIZIONARIO: cause e sviluppi del transessualismo

Ciao a tutti spero che vi sia piaciuto il mio post precedente (TRANSIZIONARIO: dicesi "transessuale"). Oggi vi porto a conoscenza di una questione aperta tra le tante quando si parla di transessualismo, quella “delle Cause”.



L'eziopatogenesi (causa e sviluppo) del transessualismo è ufficialmente ignota e leggendo molto a volte sembra che l'inquadramento psichiatrico sia quasi più uno stratagemma per far sì che le persone transessuali possano accedere alle mutue, ai Sistemi Sanitari Nazionali dei loro paesi, in attesa che ne venga chiarita la vera eziopatogenesi.
A questo proposito è molto significativa la risposta che la dottoressa Peggy Cohen-Kettenis (docente di psicologia presso la Vrije Universiteit di Amsterdam e responsabile del Gruppo sui Disturbi dell'Identità di Genere del Dipartimento di Psicologia del Centro Medico della stessa Università, annoverata fra i maggiori esperti internazionali di transessualismo) ha dato nel corso di una conferenza tenutasi a Bari il 31 maggio 2003. In tale occasione la Cohen-Kettenis, alla domanda posta dal pubblico «Se il "vero" transessuale è colui al quale viene consentito il cambiamento di sesso, non ha psicopatologia associata, ha un buon esito post-trattamento, ecc., perché allora i disturbi dell'identità di genere rientrano nel DSM-IV, ossia vengono classificati come disturbi mentali?», così rispondeva: «Questo è un buon punto. Credo che le ragioni principali stiano fuori dal DSM. Ad esempio, una ragione pratica, anche se non la più importante, è che senza un disturbo classificato nel DSM, in molti paesi le compagnie di assicurazione non coprirebbero le spese del trattamento. So che è un problema di cui si sta discutendo nella preparazione del DSM-V.»
Recenti studi, inoltre, sembrano dimostrare sia una predisposizione genetica al transessualismo sia la presenza nelle persone transessuali di un dimorfismo sessuale del cervello opposto al sesso biologico in cui sono nate/i.

Antonia Monopoli

lunedì 25 maggio 2009

Storia minima dell'HIV nel cinema: i "capisaldi" del genere /2

...segue (la prima puntata è qui)

Philadelphia (1993) di Jonathan Demme

Finalmente nel 1993 anche Hollywood decide di trattare, a suo modo, il tema AIDS. Grande budget, protagonisti due star di prima grandezza come Tom Hanks e Danzel Wahsington (prima di loro Daniel Day-Lewis, Michael Keaton, Andy Garcia, Bill Murray e Robin Williams avevano rifiutato il ruolo) più un contorno di grandissimi caratteristi, tutti al servizio di regista talentuoso.
La storia è alquanto semplice: un ricco e affermato avvocato gay (velato) di Philadelphia perde il lavoro quando nel suo studio si viene a sapere che ha contratto il virus dell'HIV. Quando decide di far causa ai sui datori di lavoro l'unico disposto a rappresentarlo in giudizio è un giovane avvocato afro-americano decisamente omofobo. Durante il processo i due avranno modo di conoscersi meglio è diventare amici.
Le regole della settima arte non sono precise e “matematiche” come quella della chimica o della culinaria: sommando ingredienti di prima qualità qualche volta il risultato è una pietanza alquanto piatta e insapore. Il film non va mai oltre la professionalità: lodabili le interpretazione dei protagonisti (Hanks si aggiudicò anche un Oscar per un'interpretazione accorata anche se spesso un po' troppo sopra le righe), pulita e lineare la regia, chiara semplice la sceneggiatura. Anche questo film soffre di una struttura troppo didascalica; da un lato cerca di presentare il dramma dell'AIDS nel modo più realistico possibile ma dall'altro non rinuncia mai ad essere sempre politicamente corretta ad oltranza, soprattutto per non alienarsi i favori del grande pubblico: a non scontentare nessuno, certe volte, si scontentano tutti.
Inoltre sia in "Philadelphia" che in "Che mi dici di Willy?" gli unici malati di AIDS sono o omosessuali o drogati o emofiliaci, un po' come se l'AIDS riguardasse solo queste categorie.


Le notti selvagge (1992) di Cyril Collard

Quando "Le notti selvagge" usci nei cinema di tute Europa fu accompagnato da innumerevoli polemiche e ben presto la pellicola spacco in due pubblico e critica. Basta leggere la trama per capire il perché.
Jean, un giovane cine-operatore bisessuale parigino fidanzato un Laura, inizia una relazione clandestina con Sammy, aitante giocatore di Rugby di origine spagnole. Quando Jean scopre di essere sieropositivo decide di non avvertire i propri partner e di continuare ad avere con loro rapporti sessuali non protetti.
Film disperato ma anche incredibilmente sincero: Collard regista e protagonista della pellicola morirà di AIDS pochi mesi dopo che il film raggiunse le sale francesi. "Le notti selvagge" rimane un'opera difficile da digerire oggi come lo fu più di quindici anni fa. Sia chiaro: fare sesso non protetto, specialmente se si sa di essere sieropositivi, è una follia assoluta, un atto criminale; però in diversi passaggi Collard riesce a comunicare al pubblico in maniera diretta e shoccante tutto il dramma di un giovane che, trovatosi faccia a faccia con la morte, non riesce a far a meno di reagire in modo autodistruttivo e nichilista, forse in maniera troppo narcisista ma senza autocompiacimento.


Jeffrey (1995) di Christopher Ashley


Finiamo la nostra mini-rassegna con una divertente e riuscita commedia.
Scritta da Paul Rudnick (stella nascente del teatro Off di New York, autore di "In & Out" e futuro sceneggiatore del delizioso "La donna perfetta") "Jeffrey" è l'adattamento per il grande schermo una riuscitissima e premiatissima pièce teatrale (in Italia fu portato in scena da Fabio Canino) che impose all'attenzione della critica il giovane autore, tanto da meritarsi il soprannome di "the gay Neil Simon" .
Jeffrey, aitante gay e attore fallito, ha una vita sessuale molto intesta ma anche molto stressante da quando l'incubo del HIV ha reso il sesso così rischioso e complicato. Per dare un nuovo senso alla propria esistenza il nostro eroe decide così di non avere più rapporti sessuali e di concentrarsi soltanto sulla propria carriera. Il caso vuole che proprio lo stesso giorno incontri Steve, brillante barman di cui Jeffrey si innamora a prima vista. Quando Steve confesserà a Jeffrey di essere sieropositivo il nostro eroe scapperà a gambe levate per paura di iniziare un rapporto che lui giudica troppo difficile da gestire.
Come è logico aspettarsi da una commedia romantica l'amore alla fine trionferà e Jeffrey capirà finalmente che si può amare anche ai tempi dell'AIDS e che in una relazione la sieropositività di uno dei partner non è un ostacolo insormontabile ma solo una condizione come un'altra.
Scritto con uno stile eclettico, pieno di scene divertenti e di guest star scelte con innegabile gusto camp (su tutti Nathan Lane nella parte di un prete cattolico, gay e ninfomane) "Jeffrey" è un prodotto quasi unico nel panorama dei film GLTB degli ultimi vent'anni: un film finalmente divertente e scorretto in cui non si ride degli omosessuali ma con gli omosessuali; un'opera piena di energia e ottimismo con un messaggio semplice ma rivoluzionario: l'AIDS si combatte anche con l'ironia e la gioia di vivere!

venerdì 22 maggio 2009

Gay Statale: storia di uno scontro verbale.


Lo scorso 8 Maggio il neonato gruppo studentesco Gaystatale si è dovuto scontrare con l'inciviltà e l'omofobia di alcuni rappresentanti della lista universitaria ciellina Obbiettivo Studenti, venendo presi a male parole dopo avere difeso da una operazione di "censura" (tramite strappo) le locandine affisse per promuovere questa nuova realtà GLBT.

La notizia è stata riportata in breve anche da La Repubblica. Vi forniamo la versione dei fatti data da questi nostri amici, confermata da più di una testimonianza. Enrico, referente del gruppo, ci ha raccontato: "Nel pomeriggio io e Valerio stavamo procedendo al nostro giro di volantinaggio delle bacheche della sede di via Festa del Perdono. Ad un banchetto di Obiettivo Studenti posizionato davanti alle aule 208-211 si trovavano una decina di ragazzi. Abbiamo sorpreso uno di questi staccare uno dei nostri volantini, fatto che si ripete con incredibile costanza e sistematicità. Di fronte alla nostra richiesta sul perché staccassero i nostri volantini, i ragazzi del banchetto hanno risposto, con atteggiamento strafottente, 'perché non ci piacciono'. Noi abbiamo fatto notare che noi non stacchiamo i loro, benché non ci piacciano, e la risposta è stata: 'ci mancherebbe altro!'. Di fronte alle lamentele sul loro atteggiamento scorretto, mi sono sentito apostrofare: 'Datti una calmata, bambina!'".

Tra sghignazzate troglodite queste persone così per bene poco prima si erano rivolte all'altro volontario in questi squisiti termini: "Dai, vieni qui che te lo spingo!". Ad una seconda e ferma richiesta del perché ci fosse un comportamento ostile nei confronti di Gaystatale, poi, i volontari sono stati ulteriormente presi in giro (i volantini sarebbero addirittura stati staccati per due settimane consecutive dai ciellini... per leggerli meglio!!!). Gaystatale, non ottenendo alcuna spiegazione, ha quindi inviato a Obbiettivo Studenti una lettera, chiedendo chiarimenti.

La risposta di Obbiettivo Studenti - sotto elezioni universitarie - è stata di scuse accompagnate ad un "ci battiamo per una reale libertà di espressione in università e continueremo a farlo" congiunte ad una dichiarazione di impossibilità di controllo della minoritaria presenza di "teste calde". Peccato notare come la minoranza delle "teste calde" isolate fosse composta dalla decina di ragazzi presenti come attivisti al banchetto elettorale di Obiettivo Studenti, referenti pubblici, quindi, in quel momento, della lista in questione. Se Obbiettivo Studenti avesse voluto fare davvero qualcosa che dimostrasse il proprio amore per i valori di dignità umana che tanto sbandiera, avrebbe potuto fare la grazia di mettere alla porta quegli incivili... a meno che nella lista studentesca di CL siano così sprovveduti da non sapere chi mettono come propri rappresentanti ai banchetti di promozione a pochi giorni dalle elezioni politiche: il che fa riflettere bene sull'opportunità che queste persone si candidino a posizioni di rilievo che richiedano concentrazione, precisione e soprattutto conoscenza della realtà in cui vivono.

La nostra più viva solidarietà ai ragazzi di Gaystatale.

(Panunzio)

martedì 19 maggio 2009

I Kissed A Girl, ovvero la politica dell’ambiguità di una canzone pop.


Una delle qualità più affascinanti di quel piccolo oggetto che è la canzone è sicuramente la sua capacità di condensare nello spazio di tre minuti non solo musica e testo, ma anche immagini, storie, visioni del mondo. Nel caso di successi planetari spesso è interessante notare come queste hit da classifica non solo siano costruite in modo da soddisfare i gusti di un pubblico di massa, ma anche per trasmettere contenuti più preoccupanti in modo più sottile. Queste riflessioni sono nate dall’analisi di I Kissed A Girl, uno degli ultimi singoli della starlet inglese Kate Perry, già al centro di numerose polemiche che hanno avuto eco sul nostro blog e su migliaia di altre pagine in Rete.

Da uno sguardo attento alla musica e al testo della canzone, quella che emerge come la qualità fondamentale del pezzo è l’ambiguità. Un atteggiamento duplice è chiaro sia a livello strutturale, nell’opposizione tra strofa e ritornello, sia nella costruzione propriamente musicale, dove la tensione tra funzioni armoniche opposte tra la linea vocale e l’accompagnamento è centrale. In particolare questo diventa evidente nel ritornello, quando si può sentire chiaramente la voce “sdoppiata” della Perry cantare il titolo della canzone; inoltre il nucleo centrale della sezione è quel “It felt so wrong / It felt so right” (“sembrava così sbagliato /sembrava così giusto”) che rivela come la protagonista stia solamente giocando con la sua identità sessuale. I due versi sono anche presentati sull’unico movimento melodico ascendente dell’intera canzone, assumendo una posizione di spicco per la loro unicità e per il fatto di essere cantanti nella tessitura più bassa della voce della cantante.

Dallo stesso punto di vista, nella sezione che introduce il ritornello finale, anche la scelta di far passare ripetutamente il suono della synth dalla cassa destra alla sinistra si muove nella stessa direzione: suggerire un effetto di confusione in cui la distinzione tra giusto e sbagliato, tra opposti valori, non è più possibile. Quello che ci sta raccontando la canzone, in sostanza non è solamente la storia di una ragazza che ne bacia un’altra per gioco, ma anche quella di una società in cui la scelta di essere diverso, di non conformarsi, sembra diventare sempre più spesso una maschera per fare colpo, un altro modo per attrarre l’attenzione, piuttosto che un percorso che ci porta a capire meglio noi stessi e il mondo circostante.

(Alessandro Bratus)
Alessandro Bratus è dottore di ricerca in Musicologia, ha pubblicato monografie per Editori Riuniti e saggi sui Pink Floyd, Madonna, Bob Dylan. E', insieme alla compagna, uno dei primi soci ad essersi tesserato Milk.

lunedì 18 maggio 2009

Milano contro l'omofobia. Il giorno dopo.


"Milano si imbavaglia per dire no all'omofobia" questo è il titolo della galleria di immagini che Repubblica.it dedica al resoconto dell'iniziativa che ieri si è tenuta a Milano. "Anche a Milano si è celebrata la Giornata internazionale contro l'omofobia: in centinaia si sono ritrovati imbavagliati, nel cuore della città, per sostenere l'iniziativa." Ecco dove potete vedere le immagini. http://milano.repubblica.it/multimedia/home/5985750/1/1 Cogliamo l'occasione per ringraziare chi era presente e chi ha reso possibile questa iniziativa. Per chi non c'era questa è invece un'opportuntà per dare una sbirciatina.

sabato 16 maggio 2009

Zitti tutti: Milano contro l'omofobia.


Ciao a tutti,
ci siamo quasi!
Domenica sarà la giornata mondiale contro l'omofobia e vi invitiamo a partecipare numerosi al SIT-IN imbavagliati che abbiamo organizzato in via dei Mercanti dalle 19 alle 19.30.

Volevamo inviarvi anche alcune note utili allo svolgimento della manifestazione, è infatti importante ricordare che:
1) Tutti i manifestanti sono invitati a NON PORTARE bandiere, loghi di partito o associazioni, cartelli, striscioni, ma solo il bavaglio con cui chiudere le nostre bocche: l'organizzazione ha già comunque provveduto a preparare 400 bavagli distribuiti gratuitamente.
2) Il materiale unitario preparato insieme dai promotori è abbondante e a disposizione di chiunque voglia aiutare l'attività di volantinaggio durante il pomeriggio, basta presentarsi dalle 17.30 al tavolo che avremo in via dei Mercanti, per essere distribuito:
NON è quindi necessario che associazioni e partiti ne portino del proprio, anche a fronte del rischio di risultare meno incisivi nella comunicazione.
Le adesioni (libere) vengono ordinariamente segnalate tramite comunicati stampa e l’inserimento nel blog e sul gruppo di Facebook.
3) La manifestazione è SILENZIOSA non è quindi utile portare megafoni o indire cori.
Vi preghiamo di rispettare questi tre punti che sono fondamentali per il corretto svolgimento
della manifestazione coerentemente con ciò che i Day od Silence sono nel resto del mondo.
Grazie
MILANO CONTRO L'OMOFOBIA
Agedo - Associazione Genitori E amici Di Omosessuali, Arcilesbica Zami, Associazione Culturale contro le discriminazioni sessuali Le Rose di Gertrude, Associazione Radicale Certi Diritti, Circolo di cultura omosessuale Harvey Milk, Famiglie Arcobaleno - Associazione Genitori Omosessuali, GAIA360, Gaylib - Gay liberali di centrodestra, KOB - Kollettivo Omosessuale Bicocca

http://milanocontroomofobia.blogspot.com

milanocontroomofobia@gmail.com

martedì 12 maggio 2009

E' tornata Poppea!


Grande notizia, attenzione prego.
Anche voi laggiù in fondo.
A tutte le amiche e gli amici che ci hanno sostenuto o hanno contribuito,
a tutti gli appassionati di musica,
a chi c'era e desidera rivivere la magia di quella serata
o a chi non ha potuto presenziare e vuole rimediare,
a voi tutti comunichiamo che

E' tornata Poppea!

Sabato 23 Maggio, alle ore 20
andrà in onda su Radio 3 "Suite"
la registrazione della recita benefit de

Il Nerone ossia l'Incoronazione di Poppea
La Venexiana - Claudio Cavina, dir.

data al Teatro Dal Verme il 1 Dicembre scorso
in occasione del World Aids Day 2008 a Milano
a favore di ASA (Associazione Solidarietà AIDS).

La trasmissione può essere seguita anche in streaming all'indirizzo: http://www.radio.rai.it, cliccando su "radio" e quindi "radio 3 live".
Per ulteriori info sulla produzione: www.poppeamilano.it

Un giusto ringraziamento, ancora, agli artisti de La Venexiana e a quanti hanno contribuito a tutti i livelli (dal trucco all'accoglienza del pubblico) alla riuscita dello spettacolo, agli organizzatori, sponsor e patrocinatori, e in particolare: ASA Milano Onlus (Associazione Solidarietà AIDS), Provincia di Milano, Assessorato alla Salute del Comune di Milano, Lila Milano Onlus, Anlaids Lombardia, Banca Popolare di Milano, CIG Arcigay Milano (Comitato Provinciale), Pier pour hom, Notiziegay.com, Milk Milano, Musica Reservata, Matrici Culturali.

Buon Ascolto!

sabato 9 maggio 2009

Storia minima dell'HIV nel cinema: i "capisaldi" del genere


Una gelata precoce (1985) di John Erman


Potrà sembrare strano ma fu la televisione generalista ad a occuparsi di AIDS ancor prima del cinema (in realtà nello stesso anno prima due piccolissime produzione indipendenti americane tratteranno l'argomento, ma di questo ne parleremo nel prossimo post). Nel 1985 la televisione commerciale NBC manda in onda questo TV-movie di due ore che racconta come una coppia piccolo-borghese vede la propria vita completamente stravolta quando uno dei loro figli gli comunica di essere gay e pure sieropositivo.
Gli sceneggiatori non sapevamo come approcciare l'argomento: "Una gelata precoce" assomiglia a mille altri film per la televisione: provate a immaginare il classico polpettone in cui al protagonista viene diagnosticato un cancro, sostituite la parola cancro con AIDS, aggiungete una manciata di luoghi comuni tipici delle produzioni televisive (interminabili liti familiari, l'immancabile scena in ospedale con il dottore stronzo e l'infermiera buona e caritatevole, il finale riparatore e ottimista etc. ) e avrete un'idea di che tipo di prodotto stiamo parlando.
Un'opera bruttina e sgraziata che però rimane fondamentale nella storia del cinema gay e che negli anni ha conservato, nel bene e nel male, un posto nel cuore di gran parte del pubblico omosessuale. A questo va poi aggiunto un interessantissimo cast che non poteva non fra breccia almeno cuori dei gay-cinefili: i ruoli di mamma e papà furono affidati alla coppia Gena Rowlands e Ben Gazzara, già eroi del cinema indipendente americano, a cui si aggiunse l'ex star di Broadway, Sylvia Sidney nei panni di una dolce e comprensiva nonnina.



Che mi dici di Willy? (1990) di Norman René

Pochi anni dopo "Una gelata precoce" il produttore indipendente Samuel Goldwyn Jr. (figlio del Samuel Goldwin fondatore della M.G.M.) e la TV pubblica americana P.B.S. producono e distribuiscono il primo film sulla AIDS che riesce ad avere una buona distribuzione sia negli Stati Uniti che in Europa.

Le vite di un gruppo di ricchi omosessuali di New York viene stravolta quando su tutti i giornali si comincia a parlare di una nuova malattia che colpisce gay e drogati: è l'inizio di una pandemia che decimerà la comunità gay e cambierà per sempre la vita dei sopravvissuti.
Questa vola il risultato è sensibilmente migliore, anche grazie al lodevole lavoro del regista e dello sceneggiatore, Craig Lucas, molto più empatici sull'argomento: entrambi gay dichiarati vissero in prima persona cio che raccontano nella pellicola (René morirà proprio di AIDS nel 1996).
Ottime anche le prove degli attori: su tutti brilla uno straordinario Bruce Davison che grazie a questo film riceverà diversi importanti premi fra cui un globo d'oro, il prestigioso New York Film Critics Circle Awards, l'Independent Spirit Awards e persino una nomination all'Oscar come miglior attore non protagonista. Qualche difetto la pellicola lo ha di sicuro, sopratutto per colpa di una sceneggiatura "a tesi" un po' troppo prevedibile e schematica (diciamo pure didascalica), che la fanno assomigliare troppo ad un'opera per la televisione.

continua...

lunedì 4 maggio 2009

In cucina con Milk: il picnic

Milk Blog è lieto di presentarvi una nuova rubrica. Si apre con questo post "In cucina con Milk". Parliamo di cucina e lo facciamo con leggerezza e ricercando il gusto e lo stile.
Eccovi quindi un modo semplice per approfondire tecniche, imparare piccoli accorgimenti e muovervi con destrezza tra i fornelli prima e nel mondo dell'ospitalità poi.
La primavera s’inoltra, è tempo di colazioni all’aperto e tè al riparo di gazebo in ferro battuto. E’ il momento di iniziare a parlare di cucina e buon gusto!
Che occasione migliore per inaugurare questa rubrica se non il tradizionale picnic?


Ragazze e ragazzi, ci dobbiamo distinguere! Se non vogliamo rinunciare alla classica grigliata che, a dire il vero, mi fa sentire molto uomo primitivo, perlomeno curiamo un po’ i dettagli!
Sapete: il termine picnic deriva da piquenique, che in un francese arcaico abbina "pique" (prendere, rubacchiare) e "nique" (oggetto di poco valore), ma questo non ci costringe a rinunciare alla classe e cura dei particolari!

L'occorrente
Per un pranzo perfetto nel nostro cestino non devono assolutamente mancare:
• Apribottiglie
• Sale e pepe (anche metaforicamente parlando)
• Un piccolo tagliere
• Un coltello affilato per tagliare formaggi e salumi, e uno a seghetto fine per i cibi croccanti (non vorrete servire ai vostri commensali delle fette dilaniate da una “sega”?)
• Stoviglie in plastica rigida
• Repellente per insetti
• Sacchetti in plastica per il “pattume” (che parola volgare) in modo da lasciare il prato pulito
• And last but not least: tovaglia o plaid (vi prego.. a quadrettoni; nè la cerata, nè trame militari o a fiori)

Da bere
Inoltre nessuno pensa mai al caffè o all’aperitivo quando ci si dividono le portate da realizzare!
Immaginatevi ad aprire il pasto con un cocktail a base di 2/3 di Malibù, 1/3 di Vodka liscia ed uno spruzzo di Blue Curacao decorato con amarene sotto spirito o fragole a scelta; o a concluderlo con del caffè da accompagnare alla torta. Il tutto è facilmente trasportabile con dei thermos!

Sarete l’invidia dei vicini di prato..
Semplicemente chic!

(Marco)

giovedì 30 aprile 2009

Domani Primo Maggio

noi ci saremo, non mancare!

http://primomaggiocassanese.blogspot.com/

martedì 28 aprile 2009

Giù le mani dal Gran Coda!



Grandi pianisti classici gay

I gender studies (studi di genere) degli anni 90 hanno guastato i sonni tranquilli di tutta quella “intellighenzia” benpensante che vedeva nei vari Haendel e Schubert dei genii di sublime spiritualità quasi privi di un corpo, ovviamente per il fatto che il loro corpo era invece animato da un gayo desiderio. “Illazioni, pure illazioni” – dicevano i veri accademici. Invece di spulciare faticosamente le lettere di Beethoven alla ricerca di improbabili morbose attenzioni riservate al nipote Karl, abbiamo deciso più pacatamente (e seriamente) di rovinare un po’ i sonni di coloro per i quali la musica è soggetta a un ordine eter(n)o, mettendoci a stilare un bel catalogo gayamente dongiovannesco di individui che si sono guadagnati la fama mettendo le mani su un Gran Coda!

Per lo sconforto di tutte le fanciulle di buona famiglia che hanno versato romantici sospiri massacrando i Notturni e Valzer di Chopin, bisogna partire proprio dal buon polacco, il “principe del pianoforte”. Ecco cosa Chopin scriveva all’amico Tytus: “Non abbracciarmi, non mi sono ancora lavato! Anche se fossi impregnato di profumi bizantini, mi abbracceresti solo se costretto col magnetismo…Esistono però le forze di natura: stanotte sognerai che ti abbraccio. Devo vendicarmi del terribile sogno a cui mi hai indotto l’altra notte!”. Camille Saint-Saëns, invece, abbandonata la moglie, si sentì così in colpa da dedicarsi amorevolmente ai ragazzi canari (un antesignano del turismo gay a Gran Canaria!) e algerini. Fra la fine dell’800 e il primo ‘900, impossibile non citare anche Ricardo Viñes (il virtuoso prediletto da Ravel), George Gershwin, Francis Poulenc, Benjamin Britten.

E ora passiamo ai pianisti che hanno fatto la storia dell’interpretazione nel XX secolo. Sviatoslav Richter e Vladimir Horowitz, i due maggiori virtuosi russi del 900, furono entrambi gay, benché sposati ( come non esserlo sotto il controllo sovietico?): entrambi ovviamente tormentati e a tratti depressi per non poter vivere serenamente la loro identità, anche se il secondo non si faceva scrupolo nell’andare in giro con un biondone tedesco (Horowitz diceva anche: “Esistono tre tipi di pianisti: omosessuali, ebrei e cattivi pianisti”: va da sé che lui era sia omosex che ebreo). Ma evidentemente nella repressione il “vizio” impazzava, se è vero che altri tre mostri sacri della tastiera più vicini a noi come Youri Egorov, Shura Cherkasski e Mikhail Pletnev condividevano con i loro predecessori dei gusti non così inusuali. Ma questi pianisti froci, come suonavano e come suonano? In modo sdolcinato ed effeminato? Tutt’altro. La costante è un virtuosismo di tipo trascendentale, in certi casi ai limiti dell’umano, unito a una grande intensità espressiva. E così, fra i virtuosi dalle dita agilissime, spuntano il bulgaro Alexis Weissenberg (uno dei pupilli -chissà perché - di Karajan, accanto ad Eschenbach), l’eccentrico e provocatorio Ivo Pogorelich, il francese Jean Yves Thibaudet – con i suoi capelli tinti di biondo e gli abiti firmati da Viviene Westwood -, lo spagnolo Rafael Orozco, il cubano Jorge Bolet, l’inglese cattolicissimo con partner fisso Stephen Hough.

Ovviamente molti dei pianisti di vecchia generazione vennero allo scoperto solo a fine carriera, o addirittura non lo fecero mai a causa dell’ostilità dell’ establishement classico – dura a morire: e allora il pianoforte diveniva il mezzo per dire ciò che non potevano dire ad alta voce (ma che praticavano, eccome...). L’alternanza di sensibilità androgina e virile dominio della tastiera divenne il marchio di pianisti popolari come l’americano Van Cliburn, ai concerti del quale per ironia della sorte fiumi di ragazzine in estasi scendevano idolatranti fin sotto il palco. In certi casi (Horowitz, Thibaudet) emergeva quel gusto del kitsch di cui i “veri pianisti maschi” – non sempre dalle dita d’acciaio in verità - si facevano beffe scandalizzati! A proposito di Thibaudet: in un’intervista il biondino disse furbamente che “il pianoforte è donna. Suonare è come fare l’amore con una donna, devi tenerla un po’ a distanza” (e infatti è quello che lui fa, mantenere la distanza!). E cosa vogliamo dire di quei pianisti non gay ma tanto tanto dandy? L’intoccabile Michelangeli, con il suo anellazzo al mignolo; l’elegantissimo e ipersensibile Claudio Arrau. O di quelli come Glenn Gould, con il suo ascetismo asessuato (?) e le sue affinità elettive con Richter, Karajan nonché con un massaggiatore personale che lo scortava in tournée? Ma di questi, vietato parlare. “Dio non voglia”. “Giù le mani!”. Il resto, però, è Storia.


Luca Ciammarughi

domenica 26 aprile 2009

Gli amici della domenica


Per augurarvi una buona domenica, oggi Milkblog ha deciso di presentarvi i suoi amici.
Si tratta ovviamente di blog che riteniamo, come tematica stile e argomenti, vicini a noi.
Eccoli qui. Se volete unirvi ai nostri amici, scriveteci e così inizieremo a conoscerci.


http://iraqilgbtuk.blogspot.com/

http://elfobruno.ilcannocchiale.it/

http://liberocanto.blogspot.com/

http://www.queer.vareseblog.it/

http://anellidifumo.ilcannocchiale.it/

http://www.queerblog.it/

venerdì 24 aprile 2009

Ricordando Nureyev...

Aveva il carisma e la semplicità di un uomo della terra,
e l'arroganza inaccessibile degli dei
.
Michail Baryšnikov

Ballerino sublime (con Nižiskij, il più grande del '900), coreografo, avventuriero, dandy, lavoratore instancabile, a sedici anni dalla scomparsa Rudolf Nureyev continua ad esercitare un fascino a cui è difficile sottrarsi. D'altra parte la sua vita assomiglia a un romanzo, in cui bellezza, talento, ribellione, nostalgia e solitudine si intrecciano inesorabilmente.
Rudolf nasce giovedì 17 marzo 1938, su un vagone della Transiberiana da Farida Nureeva, vicino a un paese chiamato Razdol'naja, diverse ore di viaggio dopo Irkutsk. Della nascita a bordo della Transiberiana, sotto il segno di Allah e della stella rossa, Rudolf farà uno dei simboli forti della propria movimentata vita.
Dopo esperienze passate nella città di Ufa in ambito folcloristico, il sogno di Rudolf si realizza: la famosa scuola Mariinskij di San Pietroburgo gli apre le porte il 17 agosto 1955. Purtroppo è quasi al limite di età per entrare nella scuola: Vera Segeevna Kostrovitskaja pronuncia un verdetto pessimista, tuttavia lo ritiene degno di entrarci. In pochi anni Rudolf diviene uno dei ballerini più famosi della Russia, ballando per il teatro Kirov, dove debutta con il passo a tre di Il lago dei cigni ed eseguendo Laurencia, Don Chiscotte, Il corsaro, Giselle. Nel 1961 si ricorda il suo fortunato e rocambolesco passaggio all'Ovest.

Nureyev fu molto influente nell'ambito della danza classica: da un lato egli accentuò l'importanza dei ruoli maschili, che a partire dalle sue produzioni vennero sviluppati con molta maggiore cura per la coreografia che nelle produzioni precedenti; dall'altro grazie a lui venne abbattuto il confine tra balletto classico e danza moderna. Nureyev infatti danzò entrambi gli stili, pur essendo stato formato come ballerino classico, cosa che oggi è assolutamente normale per un professionista, ma nella quale Nureyev fu precursore molto criticato ai tempi.

La vita di Nureyev è segnata anche da forti passioni amorose: ricordiamo il ballerino danese Erik Bruhn, direttore del Balletto reale svedese, che divenne suo amante e protettore.

Il pregio di questo grande artista è sempre stata la determinazione. La promiscuità nei rapporti sessuali e la non conoscenza della pericolosità di questi, portò alle tragedie derivate dallo scoppio dell'AIDS anche in campo artistico, incominciando nel 1983 con Klaus Nomi. Secondo il dott. Michel Canesi, Nureyev probabilmente è diventato sieropositivo all'inizio degli anni '80.
A seguito della diagnosi, il ballerino incomincia le pesantissime cure sperimentali di HPA23 e di AZT: il fisico di Rudolf regge, continua a danzare, nonostante il peso degli anni, l'inevitabile affaticamento e la malattia latente. Dal 1983 al 1989 è direttore di danza all'Opera di Parigi. Nel 1991 invece tenta, con scarso successo di critica e pubblico, di diventare direttore d'orchestra pur non avendone le competenze specifiche. A partire dal 1992 l'artista si ritrova ad affrontare il periodo più difficile e doloroso della sua malattia; si rimette in maniera a dir poco straordinaria, e dirige Romeo e Giulietta a New York danzato da Silvie Giullem e Laurent Hilaire. Il 4 gennaio 1993, avvolto nel suo pigiama di pura lana dalle tonalità ocra, Rudolf entra in coma e si spegne serenamente il 6 gennaio 1993, alle tre e trenta del mattino, il giorno del natale russo. Al funerale, (12 gennaio), il finale brutale della Fuga XIII di Bach diviene il simbolo di quella vita spezzata dall'AIDS.
Sotto un sole freddo simile a quello della Russia ognuno si chiude in un assorto raccoglimento. Poi gli ammiratori si avvicinano per gettare un giglio bianco sul feretro di colui che, attraversando il mondo di corsa, fu l'ultimo zar della danza.

Pasquale Antonio Signore


Interpretazione de Il lago dei cigni


Interpretazione del Corsaro

martedì 21 aprile 2009

Il matrimonio? Ora si può!

Oggi facciamo cronaca. Milkblog è lieto di riportare questa notizia che riguarda un possibile precedente di rilievo in materia di matrimonio tra persone dello stesso sesso in Italia. Partendo dall'episodio del Tribunale di Venezia, questo caso ci offre un ulteriore possibilità di approfondimento sul tema delle unioni omosessuali e dalla loro (possibile?) esistenza anche in Italia partendo dalla legislazione esistente. A voi la lettura, se volete approfondire al termine dell'articolo trovate il riferimento alla sentenza.


Il 3 aprile scorso il Tribunale di Venezia ha sollevato la questione di legittimita’ costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis del codice civile nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso per contrasto con gli artt. 2,3, 29 e 117 1° comma della Costituzione.Il caso riguardava due uomini che avevano chiesto all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Venezia la pubblicazione del loro matrimonio; il Comune rispondeva con un provvedimento di diniego contro il quale i due proponevano ricorso presso il Tribunale di Venezia.Il ricorso, preparato dall’Avv. Francesco Bilotta, ricercatore presso l’Universita’ di Udine, e’ solo uno dei numerosi presentati negli ultimi mesi in diversi tribunali italiani, nell’ambito dell’iniziativa di affermazione civile promossa congiuntamente dall’Associazione Certi Diritti e dall’Associazione Avvocatura per i diritti LGBT – Rete Lenford, associazione composta da legali impegnati contro la discriminazione a danno di lesbiche, gay, bisex e trans. L’ordinanza del Tribunale e’ stata motivata con ampiezza di argomentazioni, sviluppate sulle considerazioni fondamentali che “nuovi bisogni, legati anche all’evoluzione della cultura e della civilta’, chiedono tutela” e che nel matrimonio fra persone dello stesso sesso non si “individua alcun pericolo di lesione a interessi pubblici o privati…”

L'ordinanza del Tribunale di Venezia è una tappa importante della battaglia che Avvocatura per i diritti LGBT - Rete Lenford (www.retelenford.it) sta conducendo per il rispetto delle persone omosessuali nel nostro Paese.
Crediamo fermamente - dichiara Saveria Ricci, presidente di Avvocatura per i diritti LGBT - che escludere le coppie dello stesso sesso dalle tutele che discendono dal matrimonio, sia contrario alla nostra Costituzione e agli impegni che l'Italia ha assunto entrando nell'Unione europea.
Confidiamo che la Corte costituzionale prenda in considerazione le argomentazioni del Tribunale di Venezia, che brillano per accuratezza e per rigore giuridico.

Saveria Ricci(presidente dell’Associazione Avvocatura per i diritti LGBT – Rete Lenford)

Ecco la sentenza

lunedì 20 aprile 2009

Guide per un giorno

Arriva, ad una settimana di distanza, il racconto testimonianza della Pasqua tutta particolare che alcuni soci del gruppo Milk hanno passato come guide turistiche volontarie tra le vie di Milano. Ecco com'è andata la divertente impresa di accompagnare per la città dei nuotatori stranieri dalle parole di uno dei partecipanti.


Domenica 12 aprile alcuni soci di Milk Milano hanno indossato i panni della guida turistica sotto un bel sole alto e vivace. Quest'anno il torneo internazionale di nuoto sincronizzato maschile, organizzato qui da Sync different e dal Gruppo Pesce, s'è tenuto nella città meneghina; alla nostra associazione è stato chiesto di mostrare ai partecipanti le bellezze del centro storico.
Dopo un lauto pranzo a base di sushi con gli altri volontari per stabilire gli ultimi ritocchi al tour, i nostri volenterosi ciceroni hanno incontrato gli atleti sul piazzale adiacente la stazione di Cadorna per trascinarli poi per ben tre ore e mezza lungo le più segrete calli della nostra città, sino a piazza Duomo.
La presenza della squadra giapponese è stata una ottima occasione per i nostri due nipponofoni (ho controllato, miei cari lettori, si può dire) Andrea e Federico per praticare la lingua, mentre Stefano e Andrea (sì, c'è l'inflazione) hanno assunto il dovuto accento British lanciandosi ad illuminare le opere d'arte che Milano nasconde nella lingua della perfida Albione (ossia l'Inglese).
Rapida divisione in gruppi e... via, si parte! Il primo drappello comincia il viaggio seguendo l'itinerario comune a tutti: Civico Museo Archeologico (con attenzione particolare alla Coppa Trivulzio, alla Patera di Parabiago, alla Torrre delle mura massimianee e al frammento di Euphronios), San Maurizio al Monastero Maggiore, e, percorrendo via San Giovanni sul Muro, il Teatro Dal Verme, il Castello Sforzesco (monumento funerario di Bernabò Visconti, Sala delle asse di Leonardo e Pietà Rondanini e Crocifisso ritrovato di Michelangelo).
Usciti da Castello, rotta verso Piazza dei Mercanti per descrivere la loggia e rievocare i bei tempi andati, quelli di una Milano precedente ai bombardamenti e alla sciagurata furia edilizia del dopoguerra; fermata successiva è l'emblema cittadino, il monumento-simbolo della metropoli insubre: il Duomo. Il giro attorno alla cattedrale (è per vederla meglio!), ha consentito una puntatina da Luini – locale storico milanese famoso per i suoi panzerotti – quindi Galleria e Piazza della Scala, ultima tappa del breve ma intenso giro. Durante la passeggiata, qualche ospite ha gradito molto volentieri l'inaspettato raid gelatesco da Grom, a pochi passi dal teatro lirico.
Verso le 18.30, dopo quattro ore passate insieme, è arrivato il momento del congedo, con la speranza di rivedersi e collaborare ancora con questi poeti dell'acqua.
Ah, per la cronaca: ha vinto squadra tedesca.

Fabio Bertini

domenica 19 aprile 2009

Il messaggio della buona domenica: arte sacra contemporanea


Filippo Panseca espone a Savona e fa comprensibilmente scandalo. Non sono opere di buon gusto quelle che vanno a costituire una sorta di Pantheon pagano e contemporaneo. Ve le proponiamo con un simpatico sguardo divertito. Un sorriso e un raggio di sole in questa domenica di nuvole. Ora sapete a chi rivolgervi per ogni tipo di grazia.


(fonte: Il secolo XIX)

sabato 18 aprile 2009

Luca era gay: ecco le terapie, parola di psicologi

Dopo l'articolo "Luca era gay: ecco gli effetti, parola di prof." pubblicato un paio di settimane fa, abbiamo ricevuto un commento che ci è sembrato particolarmente significativo. I commenti sono lo spazio nel blog in cui si possono esprimere opinioni, considerazioni e giudizi a tema. A noi la tematica della guarigione dall'omosessualità stava molto a cuore e quando Paolo, l'insegnante di Napoli, si era proposto di scrivere la sua testimonianza da un punto di vista scolastico ci siamo immediatamente detti favorevoli. Ricevendo grazie ad un nostro lettore il commento di Vittorio Lingiardi e Nicola Nardelli (Facoltà di Psicologia 1, Università La Sapienza, Roma) comparso su La Repubblica ci pareva interessante proseguire la trattazione della tematica con il parere dei due esperti, in un altro campo. A voi la lettura.



Sempre più spesso si sente parlare di interventi mirati a condizionare o modificare l'orientamento da omosessuale a eterosessuale. Sono le cosiddette "terapie riparative". Ognuno ha detto la sua, dai cantanti ai sacerdoti, troppo spesso bypassando gli addetti ai lavori: psicologi, psichiatri, psicoterapeuti. Il "dibattito" si è sviluppato in due direzioni: quasi tutti concordano nel dire che, essendo la preferenza omosessuale una normale espressione della sessualità, da anni non classificata tra le malattie mentali o i disturbi del comportamento, sarebbe un grave atto anti-terapeutico e anti-deontologico quello di cercare di "ripararla" (come si cerca di fare con le cose che "non funzionano") in chiave eterosessuale. Ma c'è chi sostiene che se è il paziente a chiedere di essere aiutato a "cambiare", allora è giusto che lo psicologo ci provi.

Due ricercatori statunitensi, Shidlo e Schroeder, nel 2002 hanno condotto uno studio su un campione di 202 soggetti per valutare l'efficacia e gli effetti delle terapie di riconversione sessuale. Hanno individuato due gruppi di pazienti: quelli che considerano fallita la terapia (l'87%, pari a 176 soggetti) e quelli che la ritengono riuscita (il 13%, pari a 26 soggetti). Tra questi ultimi, però, 18 soggetti riferiscono che i benefici sono stati ottenuti grazie all'uso di specifiche tecniche di "gestione del comportamento omosessuale", optando per il celibato oppure ingaggiando un'incessante lotta contro la propria omosessualità; 8 riferiscono di aver ricevuto un aiuto nella conversione all'eterosessualità (ma queste stesse persone svolgono il ruolo di tutors in gruppi di ex-gay).

Del gruppo rimasto omosessuale, 20 soggetti non riportano danni psicologici a lungo termine e anzi si sentono quasi "fortificati" dalla conferma di essere proprio omosessuali. I restanti 156 soggetti accusano invece effetti collaterali negativi derivati dalla frustrazione di non essere riusciti a raggiungere l'obiettivo: depressione, ansia, dissociazione, abuso di sostanze, comportamenti compulsivi e autolesivi (fino a tentativi di suicidio).

Il più recente studio è stato appena pubblicato sulla rivista BMC Psychiatry. Durato sette anni e condotto da Annie Bartlett, Glenn Smith e Michael King della St. George University e della University College Medical School di Londra, ha analizzato le risposte di 1328 terapeuti inglesi a un questionario. Anche se solo il 4% degli intervistati riferisce che, su richiesta dell'interessato, proverebbe a modificare l'orientamento sessuale di un paziente, il 17% riconosce però di aver condotto interventi psicologici orientati a modificare le preferenze sessuali di qualche paziente gay o lesbica. Diverse sono le ragioni addotte dai clinici per giustificare il loro intervento "riparativo". In cima alla classifica troviamo la "confusione del paziente nei confronti del proprio orientamento sessuale", seguita dalla "pressione sociale e familiare", dai "problemi di salute mentale" e, infine, dal "credo religioso". "Le persone con cui ho praticato l'intervento", risponde uno degli psicologi "riparatori" intervistati, "erano molto infelici a causa della loro sessualità: il loro desiderio era diventare eterosessuali. E questo a causa dalle pressioni degli amici, della famiglia e delle comunità locali".

Dunque, dicono alcuni, la possibilità di "conversione" dovrebbe essere disponibile a chi ne fa richiesta, nel rispetto della sua volontà e della sua libertà. Ma il paradosso è che sarebbe una libertà cercata in conseguenza di una costrizione: l'omofobia, sia sociale (come nell'esempio riportato), sia "interiorizzata". "Per molti uomini e donne", dice Michael King, "scoprire di essere gay è motivo di stress. Per questo alcuni si rivolgono allo psicologo (o ci vengono mandati dai genitori) per essere aiutati a cambiare. Di questi psicologi, alcuni magari sono animati dalle migliori intenzioni. Ma quello che dovrebbero fare è aiutare i loro clienti a fare i conti con la loro condizione, a capire che ad avere un problema è la società, non sono loro. Non esistono ricerche in grado di provare l'efficacia di tali interventi: si tratta di opzioni sconsiderate e spesso dannose".

Vittorio Lingiardi e Nicola Nardelli (Facoltà di Psicologia 1, Università La Sapienza, Roma)

mercoledì 15 aprile 2009

TRANSIZIONARIO: dicesi "transessuale"

Milk Milano è lieto di annunciarvi la nascita di una nuova rubrica all'interno del suo spazio blog. Si tratta del TRANSIZIONARIO ovvero di un dizionario - diario del mondo transessuale che ci permetterà, passo dopo passo, di comprenderne termini e momenti grazie alla spiegazione tecnica e al racconto della vicenda personale di Antonia.

Ciao a tutti, mi chiamo Antonia Monopoli e mi è stato chiesto di scrivere una serie di post per questo blog per condividere con voi la mia personale esperienza di ricerca (affrontata in questi ultimi sette anni). Vivo la mia condizione di donna transessuale dall’inverno del '94/'95. Dal 2002 ho iniziato ad avvicinarmi alle associazioni di riferimento. Quando questa mia esperienza è iniziata ho dovuto cominciare proprio dai significati e dalla storia della parola "Transessuale"...

Con la parola transessuale si indica generalmente una persona che persistentemente sente di appartenere al sesso opposto a quello anagrafico e fisiologico.

Secondo il DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Manuale di Classificazione dei Disturbi Mentali, IV edizione) redatto dall'Associazione Americana degli Psichiatri e secondo l'International Classification of Diseases (a cura dell'Organizzazione Mondiale della Sanità), la persona transessuale soffre di "disturbo dell'identità di genere" o "disforia di genere" (DIG). Questo senso di "disforia" nei confronti del proprio sesso di nascita può svilupparsi già nei primi anni di vita, durante l'adolescenza o in età adulta.

Il termine "transessuale" venne coniato nel 1949 dal dottor David Cauldwell (1897-1959), ma divenne di uso comune solo dopo la pubblicazione del libro The transsexual phenomenon (Il fenomeno transessuale) del dott. Harry Benjamin, edito nel 1966 e presto diventato testo di studio universitario: è infatti il primo libro che indaga sulla transessualità con un approccio anche nosografico (studio descrittivo), affermando che essa era l'unica patologia classificata come psichiatrica a non essere curata psichiatricamente. Lo psichiatra infatti non "guarisce" la persona transessuale facendola nuovamente sentire a proprio agio con il suo sesso di origine, bensì avviandola, dopo la diagnosi di "Disturbo dell'Identità di Genere", alle terapie endocrinologiche (ormoni) e/o chirurgiche per iniziare il percorso di transizione.

Questa discrepanza (diagnosi e a livello di psicologia / cure a livello chirurgico e endocrinologico) è dovuta al fatto che per molti decenni fra la fine dell'800 e i primi venti anni del '900 la persona transessuale veniva effettivamente sottoposta a tentativi di "guarigione", ovvero di scomparsa del "disturbo", sia attraverso la psicoterapia, sia attraverso la somministrazione di ormoni del proprio sesso genetico. Questi tentativi furono fallimentari e determinarono un numero elevatissimo di suicidi fra le persone transessuali che li subivano. Soltanto intorno al 1960 si iniziò a pensare che l'unica "guarigione" della persona transessuale si potesse ottenere adeguando il corpo alla psiche e non viceversa.

Il movimento transessuale mondiale rifiuta l'inquadramento psichiatrico della propria condizione pur essendo consapevole del fatto che essa richiede l'intervento della medicina per trasformare la "disforia" in "euforia", o comunque in una stabilizzazione accettabile della qualità di vita.

Antonia Monopoli

domenica 12 aprile 2009

Kung Fu Jesus: il combattimento contro il Papa per il sesso sicuro


Uno dei momenti più temuti da tutti è quello in cui si deve affrontare il principale. Ma se, per citare Sister Act, “qualcuno è sposato con il pezzo grosso”, in questo caso lo scontro si fa decisamente acceso.
E così quando il regista danese Patrick Boivin ha deciso di “visualizzare la propria apostasia” lo ha fatto facendo incontrare Sua Santità con il Principale. Oggetto del loro contendere: il preservativo. Ne è uscito un combattimento senza alcuna esclusione di colpi.
Chi vince non ve lo riveliamo, ma vi anticipiamo la frase finale su cui concordiamo: “Non essere stupido, proteggiti. Usa il preservativo”.

Buona visione e buona Pasqua.

sabato 11 aprile 2009

MUG


E' uscito il primo numero di MUG.

Cos'è MUG?
Mug è il nostro bollettino informativo, il nostro specchio: un periodico interamente curato da Milk Milano.


Cosa c'è dentro MUG?
vi troverete i principali appuntamenti, i resoconti delle proposte di maggior peso, gli articoli nuovi tutti da leggere e quelli già pubblicati da approfondire.

In questo numero

Le nostre attività: cosa bolle in pentola e cosa abbiamo combinato finora

Il nostro spirito: siamo qui per arruolarvi tutti

Gli articoli: Against nature? Against Homophoby!, Storia di un bacio

Cosa manca a MUG?
in questo numero siccome s'è dovuti andare in stampa presto, eravamo impazienti cercate di capirci, abbiamo omesso due cose:

- la data del pride di Genova, 27 Giugno (indicata come data da stabilirsi nel calendario)

- il membro eletto, Michele Crivellaro (in luogo di Davide Disetti, dimissionario)

Dov'è MUG?
è on line, reperibile a questo indirizzo o cliccando sull'icona a lato
Il magazine è distribuito in versione cartacea grazie alla generosità di Pier Pour Hom.Ne approfittiamo in questa sede per ringraziare ancora una volta Pier e Maurizio per aver appoggiato da sempre la nostra attività politica offrendoci l'opportunità di farci conoscere ancora una volta di più.
A presto... ci rivediamo per il Pride di Genova!
Buona lettura

venerdì 10 aprile 2009

Siamo tutti "Brothers and Sisters"



Fratelli e sorelle. Amici, confidenti, sconosciuti, traditori, nemici. Difficile descrivere il loro rapporto, è qualcosa di così complicato che neanche chi lo vive in prima persona riesce a capirlo.
Brothers & Sisters parla di questo e di molto altro. Serie TV statunitense nata nel 2006 dalla mente di Jon Robin Baitz, narra la storia di una famiglia americana del XXI secolo. Sarah, Kitty, Tommy, Kevin e Justin. 3 fratelli e 2 sorelle alle prese con i dubbi e i problemi dei giorni d’oggi. A supervisionare il tutto c’è Nora, la matriarca di questa famiglia, e Saul, suo fratello, che ha assunto il ruolo di “comandante in seconda” dalla morte inaspettata di William, il marito di Nora e padre dei nostri Brothers & Sisters.

Ma cosa rende Brothers & Sisters diverso dalle altre serie che parlano di famiglia e affetti? Prima di tutto va segnalato un cast di prim’ordine, che vede fra le sue file Sally Field (già madre di Forrest Gump nell’omonimo film), Calista Flockhart (che abbiamo tutti imparato ad amare nel ruolo di Ally McBeal) e il bellissimo Dave Annable (che già di per se vale la visione :D). Oltre a ciò, Brothers & Sisters è unico per la sua capacità di affrontare argomenti di scottante attualità quali l’11 settembre (c’è un doppio episodio molto toccante dedicato proprio a questo), la guerra in Iraq e la politica americana, temi che causano sempre qualche contrasto fra i nostri “fratelli e sorelle”.

Un altro punto a favore di questo telefilm è l’essere stato in grado di presentare il personaggio di Kevin Walker, gay non stereotipato, in modo molto realistico, con i suoi dubbi e dilemmi, alla ricerca dell’anima gemella. Ci riuscirà il nostro Kevin? Per ora purtroppo le sue storie non sono andate molto bene, ma l’avevamo lasciato con la fine della prima serie all’inizio di una nuova relazione. Come andrà? A breve la seconda stagione verrà trasmessa dai canali Rai, non perdetevela!

Vi lascio con un video di Kevin e Scotty, il primo ragazzo che nella serie ha fatto battere il cuore del nostro Walker. Chissà che non ritorni nella seconda stagione…



(Alberto)

martedì 7 aprile 2009

Solidarietà ai ragazzi del Toilet Club per l'assalto omofobo di Sabato.


Come molti di voi sapranno, sabato notte un locale gayfriendly di Milano, il Toilet, è stato oggetto di un assalto da parte di un gruppo di energumeni omofobi con ogni probabilità legati all'ambiente neofascista e neonazista esaltato dal vergognoso "convegno" svoltosi domenica nella nostra povera città.

Per chi non fosse a conoscenza dei dettagli del fatto, riportiamo qui sotto parte della rassegna stampa recuperabile in internet (la versione più corretta pare quella riportata da Gay.tv, confermataci al telefono da Giapi, uno dei ragazzi che gestisce il circolo).

CronacaCity - Gay.it - La Repubblica - Queer Blog - Vita - Wall Street Italia

Abbiamo telefonato ai gestori, per esprimere loro tutta la solidarietà possibile e per chiedere dettagli in merito al fatto: non credo nessun articolo giornalistico centri appieno la violenza omofobica che ha caretterizzato l'atto. I ragazzi feriti, fortunatamente, non hanno subito lesioni gravi.

Ai ragazzi e alle ragazze del Toilet rinnoviamo la nostra totale solidarietà nella speranza che episodi del genere non si ripetano più nella citta di Milano e riaffermiamo la nostra totale volontà di lottare per contribuire quanto ci è possibile a creare una mentalità che non consenta più il fiorire di queste vergogne.

lunedì 6 aprile 2009

Luca era gay: ecco gli effetti, parola di prof.

Pubblichiamo questo articolo di un nostro sostenitore: le riflessioni personali di un insegnante in una scuola media di Napoli, etero, che ha dovuto porsi da "esterno" una serie di domande sulla canzone di Povia presentata all'ultimo festival di Sanremo. Crediamo che la sua sia una testimonianza utile a stimolare ulteriori e più pacate riflessioni su un episodio che per il movimento glbt italiano resta l'ennesima sonora sconfitta causata da un modo di agire che ha dimostrato già abbastanza la propria inefficacia e pericolosità: perché non tramutarlo in una occasione di sana e vera autocritica e crescita?


Il Festival di Sanremo è finito ed io, insegnante di scuola media, mi sono trovato a riflettere su un fenomeno che avevo sottovalutato. Non avevo seguito la gara (non l’ho mai seguita, per la verità) ed ero convinto che le polemiche scatenate dalle associazioni gay sul “caso-Povia” avessero solamente aiutato il cantante a raggiungere una celebrità non meritata portando la canzone alla conoscenza di persone che, come me, non avrebbero altrimenti conosciuto il “poviapensiero”. Dissi anche: «Non sarebbe stato meglio ignorarlo per far sì che nessuno lo considerasse?». Dovetti ricredermi in classe, ad un paio di giorni dalla fine del Festival.

I ragazzi della II media in cui insegno mi accolsero cantando “Luca era gay” con molta leggerezza, svuotando il termine e la frase di ogni significato. Ripetevano le parole del testo meccanicamente, le cantavano soltanto perché erano state consacrate dalla televisione. Nella loro ottica, infatti, tutto ciò che passa in televisione è bello e giusto. Quando uno di loro mi chiese, addirittura, cosa significasse quel testo che cantava oramai da una settimana mi resi conto definitivamente di aver sottovalutato l’influenza che una canzone come quella di Povia poteva avere non solo sulla società ma anche sul mio lavoro di insegnante.

Nella scuola media, infatti, il lavoro principale di un insegnante è contribuire attraverso le varie discipline alla formazione globale dell’individuo. Ma, lo confesso, non mi era mai capitato di tenere una lezione esclusivamente sull’omosessualità. L’identità sessuale dei ragazzi di quell’età, nella maggior parte dei casi, non è ancora pienamente definita e la consapevolezza delle pulsioni sessuali viene sviluppata progressivamente e, soprattutto, naturalmente. Se deve essere loro data un’educazione alla sessualità, questa deve essere mirata a far acquisire una consapevolezza del corpo, a far conoscere i metodi di prevenzione che garantiscono di vivere la sessualità con serenità, senza pericolo di dover affrontare malattie o gravidanze indesiderate. Ma certo non penso certo che l’educazione sia necessaria per la definizione di un gusto personale e, proprio per garantire che sviluppassero naturalmente e liberamente le loro tendenze, ho cercato con grande passione di far nascere nelle loro menti così vivaci il valore del rispetto altrui, il rispetto di tutte le minoranze, la voglia di superare con l’amore per il prossimo ogni forma di razzismo.

Queste idee, che nella mia formazione familiare e scolastica sono state talmente presenti da apparirmi innate, sono divenute, per me, uno strumento didattico indispensabile. Per lo specifico compito che svolgo, il primo obiettivo che mi pongo è garantire l’accettazione di ogni ragazzo, pur se percepito dagli altri e per vari motivi come “diverso”. Ed è proprio l’educazione alla diversità che occupa un ruolo fondamentale nel processo di integrazione sociale e culturale. Tale educazione permette ai ragazzi di comprendere l’handicap di un compagno di banco, vincere la paura per chi ha la pelle di diverso colore, accettare chi manifesta comportamenti sessuali considerati non ordinari dalla società odierna. Diverse condizioni, evidentemente, ma unite nel loro destino di discriminazione.

Il lavoro di insegnante è lungo e meticoloso, basato su attività didattiche di gruppo in grado di valorizzare ed integrare chi è considerato “diverso”. È un lavoro che, dopo anni di sacrifici, dovrebbe formare delle persone in grado di rendere migliore la nostra società; è per questo che vado fiero del mio lavoro. E la canzone di Povia ha demolito in un sol colpo il lavoro di anni. Una canzone in cui l’essere gay è esclusivamente negatività. Le armi sono dispari. Io e i miei colleghi, nei limiti dell’orario scolastico, educhiamo i ragazzi al ragionamento; una canzone diffusa dai mass-media propone un’improbabile soluzione ad un problema che non esiste, e senza riflessione. Quei quattro minuti di parole, cantati (in modo maldestro) come se fossero una filastrocca, una nenia, da tanti pappagalli che ne ignorano il significato agisce in modo subdolo, come una pubblicità, puntando sull’istinto e sfruttando il potere che ha la televisione.

Nonostante il danno ho reagito con l’impegno. Ho ignorato la canzone di Povia, che i ragazzi hanno continuato a cantare. Ho solo spiegato loro che un uomo resta sempre libero di amare chi vuole. Certo... io l’ho spiegato senza rime improbabili. E in me resta la rabbia per chi, forse volutamente, ha compromesso un percorso di integrazione, sofferto, doveroso, necessario.

(Paolo Sullo - Napoli)

domenica 5 aprile 2009

Il messaggio della buona domenica



"La Bibbia contiene 6 ammonimenti per gli omosessuali e 362 per gli eterosessuali. Questo non vuol dire che Dio non ama gli eterosessuali, solo che hanno bisogno di una maggiore supervisione" - Lynn Lavner

mercoledì 1 aprile 2009

La guida per vivere con un pene enorme

How to live with a huge penis: advice, meditations, and wisdom for men who have too much

Per secoli la saggezza popolare, le leggi del marketing e il sano pudore hanno voluto che non si scrivessero parole sconvenienti nei titoli dei libri. Niente copertine con immagini vistose e nientemeno termini inappropriati. Tra questi potete facilmente capire il motivo per cui anche "pene" fosse da sconsigliarsi. Fu "Penis Pokey" a rompere per primo le regole e le sue 100mila copie vendute in 18 mesi hanno rimesso in discussione l'efficiacia della regola. Il pene, in copertina, vende.

All'interno dello stesso ramo si inserisce la guida che vi presentiamo oggi "how to live with a huge penis": il regalo che ogni uomo vorrebbe ricevere, che ne abbia o meno bisogno, così recita lo slogan. Questo capolavoro della manualistica è in realtà una “parodia di auto aiuto” piena di compassionevoli consigli per uomini colpiti da OMG (oversized male genitalia: non oh my God come qualcuno potrebbe invece pensare). Un libro laico quindi, terra terra, che si mette al servizio di quegli individui esclusi per la propria “abbondanza di proporzioni assurde” lanciando un messaggio di tolleranza e speranza. Una voce ispirata quindi ,attraverso un'opera che invita a fare "coming out" (unzipping) con la propria famiglia, dichiararsi con un compagno / compagna ed evitare la discriminazione nel posto di lavoro.

Grazie ad un diario dove segnare i propri progressi e ad una serie di citazioni sull'argomento il libro di Richard Jacob e Owen Thomas rappresenta una vera e propria perla (big blessing) nella letteratura di genere. Ma che genere? ovviamente maschile ed intimo.

Per i curiosi, potete leggere le prime pagine qui

Per gli interessati all’acquisto rimandiamo invece qui

martedì 31 marzo 2009

Qualcosa che non muore


Riflessioni sull’amore, sull’AIDS, sull’arte contemporanea.

Cammini distratto per le strade di una città. New York, supponiamo. È il 1992. Tra il caos metropolitano un manifesto commerciale che non spiega cosa pubblicizzi. Nessuna scritta a commentare né niente. Solo la foto in bianco e nero di un letto sfatto. Da qualche altra parte della città ancora un cartello, ancora un letto sfatto. Questa stessa scena in ventiquattro corners di questa New York. Non è l’inizio di un romanzo, è l’espressione del dolore di un tale Félix Gonzáles Torres. Nato a Guaimaro (Cuba) nel 1957, cresciuto tra Spagna e Porto Rico con un gatto ed una scatola di acquerelli, trasferitosi a trentatre anni negli USA dopo essersi fatto conoscere, tra le altre parti, a Londra e Hannover. Lui ha scattato le foto misteriose. A New York, Félix Gonzáles Torres ha voluto parlare d’amore. E non si è fermato. Ha continuato a parlare d’amore a Los Angeles, Berlino, Hiroshima, fino ad arrivare a Venezia, alla Biennale scorsa, nel padiglione degli Stati Uniti. Anche se a quel punto era morto da undici anni, anche se alla Biennale esponi solo se sei vivo. Venivano mostrati i suoi Landscapes, delle sculture realizzate con delle caramelle che il visitatore era invitato a portare via e mangiarsi. Perché questo era l’amore secondo l’artista, un sentimento a cui non si resiste ma che ti porta via a poco a poco fino a farti scomparire, fin’ad ucciderti. Stesso ragionamento per le sculture con i fogli di carta, stessa partecipazione e stesse riflessioni per lui e per il pubblico. “Il pubblico? Sarò onesto, senza troppi giochi di parole: il mio pubblico era Ross. Il resto della gente viene solo per i miei lavori”. Ross…il compagno di più di cinque anni morto dopo aver amato Félix in tutti quei letti di tutte quelle New York, dopo essere stato vitale come un cibo e dolce come una caramella destinata a morire e far morire con il vuoto. Ross è morto di AIDS nel 1990, Félix sei anni dopo per la stessa ragione. Ma non si è mai arreso e con l’immortalità dell’arte ha affermato la vita, lodato l’amore, ricordato la sacralità della memoria. E ci ha regalato questa poesia dei giorni nostri...

Matteo Stefanìa

lunedì 23 marzo 2009

E ora parliamo di sesso… In Italia, oggi.

Ecco il primo articolo di un nostro nuovo volontario blogger! Buona lettura!

Qualche sera fa ho avuto modo di vedere il film “Kinsey - E ora parliamo di sesso…”. Si tratta di un biopic sulla vita del sessuologo statunitense Alfred Kinsey e sulla lotta che questo personaggio ha dovuto combattere per condurre, nell’America puritana, studi scientifici approfonditi su di un argomento scabroso, come quello della sessualità.
Prima d’ora non avevo mai sentito parlare della figura di Alfred Kinsey, ammetto la mia ignoranza. Vedendo le immagini del film, ambientato nell’America da fine anni ’30 fino agli anni ’50, ho tuttavia ritenuto che la sua figura e la sua storia possano essere oggi di grande attualità. Penso ad alcuni fenomeni in particolare, della cronaca quotidiana degli ultimi tempi: al Papa che afferma l’inutilità dei preservativi per prevenire l’Aids, alle nascenti associazioni che ritengono che l’omosessualità sia una malattia da curare, a personaggi come Paola Binetti o a tante altre situazioni (in televisione, sui giornali e via dicendo; mi viene in mente una recente puntata di Porta a Porta) in cui lo specialista di turno si sente autorizzato a fornire una visione distorta, assurda e medievale della vita sessuale degli individui.

Il film è fortemente a tesi; non si presenta quindi come documentario neutro sulla vita dello studioso statunitense. La vicenda è fortemente drammatizzata, tuttavia mantiene una discreta funzione informativa.
Mi sembra di poter individuare, nel corso del film, due tematiche principali: la prima è che vi sia una grande ignoranza sulla questione sessuale. Questo perché per questioni sociali è difficile trattare di un argomento del genere, su cui sono sempre stati esercitati molti tabù e pregiudizi. Ciò ha portato ad una tale ignoranza in materia che ha spesso portato gli individui a vivere infelicemente o quantomeno problematicamente la propria vita sessuale.
La seconda è che tale ignoranza può essere colmata. E può esserlo tramite una ricerca scientifica accurata e priva di pregiudizi. Questa giunge a dimostrare che la diversità in campo sessuale è più una norma che non una deviazione.
Credo che queste linee guida siano particolarmente significative, ancora oggi, in particolare in una situazione come quella italiana, in un periodo in cui si mischiano scienza ed ideologia, in cui le informazioni vengono manipolate, in un periodo in cui vengono sbandierati studi pseudo-scientifici sulla sessualità, per lo più a scopo elettorale e morale, quando non per cieca ottusità. L’idea di non parlare a vanvera di un argomento importante come la sessualità, bensì la necessità di trattarne con cognizione di causa ed intelligenza potrebbe essere oggi, come allora, un’idea addirittura rivoluzionaria.

Enrico Guerini