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martedì 16 giugno 2009
mercoledì 3 giugno 2009
Il matrimonio omosessuale: parità di diritti e riconoscimento sociale.
Venerdì 19 Giugno, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano, si terrà la tavola rotonda dal titolo Il matrimonio omosessuale: parità di diritti e riconoscimento sociale organizzata da Milk Milano in coordinamento con il Centro Interdipartimentale di Studi e Ricerche "Donne e Differenze di Genere" e la rete di avvocatura "Lenford".
L'evento, aperto al pubblico, prevede la partecipazione di docenti e ricercatori incardinati presso le università di Milano, Udine, Bergamo e del Piemonte Orientale, oltre che di rappresentanti di Rete Lenford.
Punto focale del dibattimento sarà il matrimonio tra persone dello stesso sesso in rapporto alla realtà nazionale (sia da un punto di vista legislativo-giuridico che sociologico), al fine di offrire una attenta ed aggiornata analisi sullo stato della questione e sulle possibilità attuali nel contesto normativo italiano.
Nata dalla necessità di fornire alla dibattuta questione uno sguardo oggettivo e il più possibile informato, la tavola rotonda, pur mantenendo un taglio contenutistico accademico, è studiata per (e rivolta a) un pubblico non necessariamente specialistico.
Iscriviti all'evento su Facebook!
Punto focale del dibattimento sarà il matrimonio tra persone dello stesso sesso in rapporto alla realtà nazionale (sia da un punto di vista legislativo-giuridico che sociologico), al fine di offrire una attenta ed aggiornata analisi sullo stato della questione e sulle possibilità attuali nel contesto normativo italiano.
Nata dalla necessità di fornire alla dibattuta questione uno sguardo oggettivo e il più possibile informato, la tavola rotonda, pur mantenendo un taglio contenutistico accademico, è studiata per (e rivolta a) un pubblico non necessariamente specialistico.
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domenica 31 maggio 2009
In cucina con Milk: torta sì, ma anche ipocalorica
Frequentando gli ambienti degli appassionati di gastronomia e cucina ci rendiamo conto che la maggioranza delle persone non riesce a gestire il proprio hobby senza andare in sovrappeso, e ciò nonostante rifiuta ogni tentativo di adottare un modello di cucina "dietetica", o meglio un modo di cucinare compatibile con il mantenimento del peso forma. I piatti di alcuni chef di alta cucina hanno poche calorie, ma non saziano perché le porzioni sono microbiche.
Le caratteristiche chiave di un modello di cucina veramente ideale, che in pochi considerano, sono la sazietà e l'appetibilità dei piatti: è su questi parametri che bisogna giocare per impostare vincoli salutistici efficaci.
La soluzione sta nell’imporre dei vincoli sulla densità calorica che garantisca il giusto compromesso tra potere saziante e gusto.
Oggi, quindi, oltre a proporvi la ricetta della classica “torta Pasqualina” (un attentato alla linea visto che una fetta contiene circa 480 kcal), realizzeremo insieme una versione ipocalorica di questa torta salata.
Le caratteristiche chiave di un modello di cucina veramente ideale, che in pochi considerano, sono la sazietà e l'appetibilità dei piatti: è su questi parametri che bisogna giocare per impostare vincoli salutistici efficaci.
La soluzione sta nell’imporre dei vincoli sulla densità calorica che garantisca il giusto compromesso tra potere saziante e gusto.
Oggi, quindi, oltre a proporvi la ricetta della classica “torta Pasqualina” (un attentato alla linea visto che una fetta contiene circa 480 kcal), realizzeremo insieme una versione ipocalorica di questa torta salata.
TORTA PASQUALINA (classica)
Per la pasta:
• Pasta sfoglia pronta xD
Su ragazzi, non siamo ipocriti, chi mai si metterebbe a cucinare una torta salata, se dovesse anche preparare la pasta sfoglia!
La possiamo trovare già pronta surgelata, e nessuno oserà mai contraddirci se affermeremo che l’abbiamo fatta noi con sufficiente convinzione!
Per il ripieno:
• 500g di bieta o spinaci
• 200g di ricotta
• 50g di burro fuso
• 6 uova
• 1 cucchiaio di maggiorana
• 4 cucchiai di parmigiano grattugiato
• 4 cucchiai di pecorino grattugiato
• 1 bicchiere di latte
• 1 bicchiere d’olio
• sale e pepe
Accorgimenti per la pasta sfoglia:
Dovete sapere che la pasta sfoglia è non è impastata come si farebbe con un qualsiasi altro tipo di impasto, ma sovrapponendo e piegando su se’ stessi varie volte un panetto formato in prevalenza da burro ed uno da farina. E’ proprio questo tipo di lavorazione che conferisce alla pasta, dopo la cottura, la classica struttura a millefoglie.
Perché vi dico questo? Semplice: quando farete decongelare la pasta sfoglia che avete acquistato, non fate assolutamente l’errore di reimpastarla, altrimenti vi troverete con una pasta sfoglia senza sfoglie!
Lasciate quindi decongelare la pasta a temperatura ambiente, srotolatela e stendetela per raggiungere lo spessore e grandezza desiderata, solo quando sarete in grado di farlo senza romperla. Nel caso si formasse qualche buco, potete naturalmente porre rimedio giungendo il due lembi, ma assolutamente non amalgamate la pasta, mi raccomando!
Questi consigli sono validi per qualsiasi preparazione a base di pasta sfoglia.
Preparazione:
Pulire la bieta, lavarla e cuocerla in una casseruola con poco sale, senz'altro. Cuocere a fuoco basso, e con il coperchio, per 6 minuti. Appena cotta strizzarla bene, tritarla finemente e metterla in una ciotola grande. Aggiungere la ricotta sbriciolata (o il latte cagliato), 2 uova intere, il parmigiano grattugiato, metà pecorino e la maggiorana: se l'impasto è troppo solido, ammorbidire con il latte. Foderare con una sfoglia uno stampo apribile, unto d'olio, ungere la sfoglia con un pennello intinto nell'olio e sovrapporne a una a una, le altre due, ungendole sempre con l'olio tranne l'ultima. Disporre il ripieno e con un cucchiaio scavare 4 incavature in cui si porranno le uova intere, crude. Salare e cospargere con il resto del pecorino. Chiudere con una sfoglia di pasta e sovrapporvi le altre due, sempre ungendo con il pennello da cucina la superficie tra una e l'altra. Sigillare con i ritagli di pasta formando un cordone tutt'intorno al bordo. Ungere la superficie con un po' d'olio e perché risulti più dorata, con parte di un uovo intero battuto; bucare la superficie con uno stuzzicadenti, facendo attenzione a non rompere le uova e infornare in forno già caldo, a 200°C, per 40 minuti.
TORTA PASQUALINA (versione ipocalorica)
Un ottimo compromesso fra gusto e leggerezza, può però anche essere raggiunto seguendo la seguente ricetta:
Per la pasta:
• Per la pasta, seguiamo gli stessi accorgimenti della torta Pasqualina classica, possiamo però evitare di richiudere la sfoglia sopra la torta. In questo modo useremo meno pasta sfoglia e avremo la possibilità di giocare con i colori del ripieno per la decorazione (vi spiegherò in seguito)
Per il ripieno:
• 500g di bieta o spinaci
• 200g di ricotta
• 1 uovo
• noce moscata
• 40g di parmigiano grattuggiato
• 40g di pecorino grattugiato
• il succo di mezzo limone
• 1 spicchio d’aglio
• Mezza cipolla piccola
• sale e pepe
Preparazione:
Cuocere la bieta in padella a fuoco basso per 6 minuti (o comunque finchè è necessario se state usando la bieta congelata) con il succo di limone e lo spicchio d’aglio tagliato a pezzettini. A cottura ultimata, strizzate bene le bieta, è fondamentale, in modo da non avere una torta troppo umida e poco cotta.
Unite nel mixer la bieta, la ricotta, il parmigiano, la cipolla, sale, pepe e la noce moscata (grattugiata naturalmente), e tritate finchè il composto non raggiunge la grana da voi desiderata (io lo preferisco a grana grossa, altrimenti diventa troppo cremoso).
Foderate una tortiera con della pasta da forno, e stendetevi la pasta foglia in modo sforando leggermente dai bordi, in modo da avere poi la possibilità di richiudere la pasta sull’impasto per circa 2 o 3 centimetri.
Accendete il forno a 180°C.
Prendete l’uovo e separatene l’albume dal tuorlo, montate a neve ferma l’albume ed incorporatelo delicatamente al ripieno.
A questo punto versate il ripieno nella tortiera, ripiegate all’interno i bordi di pasta sfoglia in eccesso, ed infornate. La cottura richiede circa 50 minuti, ma questo dipende anche da come avete strizzato le biete e dall’altezza della torta che state realizzando. La soluzione migliore è aspettare che la superficie del ripieno, sia leggermente dorata, a quel punto sfornare la torta, con il retro del cucchiaio premere al centro di essa per formare una cavità in cui disporre il tuorlo dell’uovo che avevamo conservato, versarvi all’interno l’uovo e infornare per altri 10 minuti, o finchè l’uovo è cotto.
Servire tiepida o fredda (meglio appena tiepida) con una spolverata di pepe.
Per la pasta:
• Per la pasta, seguiamo gli stessi accorgimenti della torta Pasqualina classica, possiamo però evitare di richiudere la sfoglia sopra la torta. In questo modo useremo meno pasta sfoglia e avremo la possibilità di giocare con i colori del ripieno per la decorazione (vi spiegherò in seguito)
Per il ripieno:
• 500g di bieta o spinaci
• 200g di ricotta
• 1 uovo
• noce moscata
• 40g di parmigiano grattuggiato
• 40g di pecorino grattugiato
• il succo di mezzo limone
• 1 spicchio d’aglio
• Mezza cipolla piccola
• sale e pepe
Preparazione:
Cuocere la bieta in padella a fuoco basso per 6 minuti (o comunque finchè è necessario se state usando la bieta congelata) con il succo di limone e lo spicchio d’aglio tagliato a pezzettini. A cottura ultimata, strizzate bene le bieta, è fondamentale, in modo da non avere una torta troppo umida e poco cotta.
Unite nel mixer la bieta, la ricotta, il parmigiano, la cipolla, sale, pepe e la noce moscata (grattugiata naturalmente), e tritate finchè il composto non raggiunge la grana da voi desiderata (io lo preferisco a grana grossa, altrimenti diventa troppo cremoso).
Foderate una tortiera con della pasta da forno, e stendetevi la pasta foglia in modo sforando leggermente dai bordi, in modo da avere poi la possibilità di richiudere la pasta sull’impasto per circa 2 o 3 centimetri.
Accendete il forno a 180°C.
Prendete l’uovo e separatene l’albume dal tuorlo, montate a neve ferma l’albume ed incorporatelo delicatamente al ripieno.
A questo punto versate il ripieno nella tortiera, ripiegate all’interno i bordi di pasta sfoglia in eccesso, ed infornate. La cottura richiede circa 50 minuti, ma questo dipende anche da come avete strizzato le biete e dall’altezza della torta che state realizzando. La soluzione migliore è aspettare che la superficie del ripieno, sia leggermente dorata, a quel punto sfornare la torta, con il retro del cucchiaio premere al centro di essa per formare una cavità in cui disporre il tuorlo dell’uovo che avevamo conservato, versarvi all’interno l’uovo e infornare per altri 10 minuti, o finchè l’uovo è cotto.
Servire tiepida o fredda (meglio appena tiepida) con una spolverata di pepe.
martedì 26 maggio 2009
TRANSIZIONARIO: cause e sviluppi del transessualismo
Ciao a tutti spero che vi sia piaciuto il mio post precedente (TRANSIZIONARIO: dicesi "transessuale"). Oggi vi porto a conoscenza di una questione aperta tra le tante quando si parla di transessualismo, quella “delle Cause”.
L'eziopatogenesi (causa e sviluppo) del transessualismo è ufficialmente ignota e leggendo molto a volte sembra che l'inquadramento psichiatrico sia quasi più uno stratagemma per far sì che le persone transessuali possano accedere alle mutue, ai Sistemi Sanitari Nazionali dei loro paesi, in attesa che ne venga chiarita la vera eziopatogenesi.
A questo proposito è molto significativa la risposta che la dottoressa Peggy Cohen-Kettenis (docente di psicologia presso la Vrije Universiteit di Amsterdam e responsabile del Gruppo sui Disturbi dell'Identità di Genere del Dipartimento di Psicologia del Centro Medico della stessa Università, annoverata fra i maggiori esperti internazionali di transessualismo) ha dato nel corso di una conferenza tenutasi a Bari il 31 maggio 2003. In tale occasione la Cohen-Kettenis, alla domanda posta dal pubblico «Se il "vero" transessuale è colui al quale viene consentito il cambiamento di sesso, non ha psicopatologia associata, ha un buon esito post-trattamento, ecc., perché allora i disturbi dell'identità di genere rientrano nel DSM-IV, ossia vengono classificati come disturbi mentali?», così rispondeva: «Questo è un buon punto. Credo che le ragioni principali stiano fuori dal DSM. Ad esempio, una ragione pratica, anche se non la più importante, è che senza un disturbo classificato nel DSM, in molti paesi le compagnie di assicurazione non coprirebbero le spese del trattamento. So che è un problema di cui si sta discutendo nella preparazione del DSM-V.»
Recenti studi, inoltre, sembrano dimostrare sia una predisposizione genetica al transessualismo sia la presenza nelle persone transessuali di un dimorfismo sessuale del cervello opposto al sesso biologico in cui sono nate/i.
Antonia Monopoli
L'eziopatogenesi (causa e sviluppo) del transessualismo è ufficialmente ignota e leggendo molto a volte sembra che l'inquadramento psichiatrico sia quasi più uno stratagemma per far sì che le persone transessuali possano accedere alle mutue, ai Sistemi Sanitari Nazionali dei loro paesi, in attesa che ne venga chiarita la vera eziopatogenesi.
A questo proposito è molto significativa la risposta che la dottoressa Peggy Cohen-Kettenis (docente di psicologia presso la Vrije Universiteit di Amsterdam e responsabile del Gruppo sui Disturbi dell'Identità di Genere del Dipartimento di Psicologia del Centro Medico della stessa Università, annoverata fra i maggiori esperti internazionali di transessualismo) ha dato nel corso di una conferenza tenutasi a Bari il 31 maggio 2003. In tale occasione la Cohen-Kettenis, alla domanda posta dal pubblico «Se il "vero" transessuale è colui al quale viene consentito il cambiamento di sesso, non ha psicopatologia associata, ha un buon esito post-trattamento, ecc., perché allora i disturbi dell'identità di genere rientrano nel DSM-IV, ossia vengono classificati come disturbi mentali?», così rispondeva: «Questo è un buon punto. Credo che le ragioni principali stiano fuori dal DSM. Ad esempio, una ragione pratica, anche se non la più importante, è che senza un disturbo classificato nel DSM, in molti paesi le compagnie di assicurazione non coprirebbero le spese del trattamento. So che è un problema di cui si sta discutendo nella preparazione del DSM-V.»
Recenti studi, inoltre, sembrano dimostrare sia una predisposizione genetica al transessualismo sia la presenza nelle persone transessuali di un dimorfismo sessuale del cervello opposto al sesso biologico in cui sono nate/i.
Antonia Monopoli
lunedì 25 maggio 2009
Storia minima dell'HIV nel cinema: i "capisaldi" del genere /2
...segue (la prima puntata è qui)
Philadelphia (1993) di Jonathan Demme
Finalmente nel 1993 anche Hollywood decide di trattare, a suo modo, il tema AIDS. Grande budget, protagonisti due star di prima grandezza come Tom Hanks e Danzel Wahsington (prima di loro Daniel Day-Lewis, Michael Keaton, Andy Garcia, Bill Murray e Robin Williams avevano rifiutato il ruolo) più un contorno di grandissimi caratteristi, tutti al servizio di regista talentuoso.
La storia è alquanto semplice: un ricco e affermato avvocato gay (velato) di Philadelphia perde il lavoro quando nel suo studio si viene a sapere che ha contratto il virus dell'HIV. Quando decide di far causa ai sui datori di lavoro l'unico disposto a rappresentarlo in giudizio è un giovane avvocato afro-americano decisamente omofobo. Durante il processo i due avranno modo di conoscersi meglio è diventare amici.
Le regole della settima arte non sono precise e “matematiche” come quella della chimica o della culinaria: sommando ingredienti di prima qualità qualche volta il risultato è una pietanza alquanto piatta e insapore. Il film non va mai oltre la professionalità: lodabili le interpretazione dei protagonisti (Hanks si aggiudicò anche un Oscar per un'interpretazione accorata anche se spesso un po' troppo sopra le righe), pulita e lineare la regia, chiara semplice la sceneggiatura. Anche questo film soffre di una struttura troppo didascalica; da un lato cerca di presentare il dramma dell'AIDS nel modo più realistico possibile ma dall'altro non rinuncia mai ad essere sempre politicamente corretta ad oltranza, soprattutto per non alienarsi i favori del grande pubblico: a non scontentare nessuno, certe volte, si scontentano tutti.
Inoltre sia in "Philadelphia" che in "Che mi dici di Willy?" gli unici malati di AIDS sono o omosessuali o drogati o emofiliaci, un po' come se l'AIDS riguardasse solo queste categorie.
Le notti selvagge (1992) di Cyril Collard
Quando "Le notti selvagge" usci nei cinema di tute Europa fu accompagnato da innumerevoli polemiche e ben presto la pellicola spacco in due pubblico e critica. Basta leggere la trama per capire il perché.
Jean, un giovane cine-operatore bisessuale parigino fidanzato un Laura, inizia una relazione clandestina con Sammy, aitante giocatore di Rugby di origine spagnole. Quando Jean scopre di essere sieropositivo decide di non avvertire i propri partner e di continuare ad avere con loro rapporti sessuali non protetti.
Film disperato ma anche incredibilmente sincero: Collard regista e protagonista della pellicola morirà di AIDS pochi mesi dopo che il film raggiunse le sale francesi. "Le notti selvagge" rimane un'opera difficile da digerire oggi come lo fu più di quindici anni fa. Sia chiaro: fare sesso non protetto, specialmente se si sa di essere sieropositivi, è una follia assoluta, un atto criminale; però in diversi passaggi Collard riesce a comunicare al pubblico in maniera diretta e shoccante tutto il dramma di un giovane che, trovatosi faccia a faccia con la morte, non riesce a far a meno di reagire in modo autodistruttivo e nichilista, forse in maniera troppo narcisista ma senza autocompiacimento.
Jeffrey (1995) di Christopher Ashley
Finiamo la nostra mini-rassegna con una divertente e riuscita commedia.
Scritta da Paul Rudnick (stella nascente del teatro Off di New York, autore di "In & Out" e futuro sceneggiatore del delizioso "La donna perfetta") "Jeffrey" è l'adattamento per il grande schermo una riuscitissima e premiatissima pièce teatrale (in Italia fu portato in scena da Fabio Canino) che impose all'attenzione della critica il giovane autore, tanto da meritarsi il soprannome di "the gay Neil Simon" .
Jeffrey, aitante gay e attore fallito, ha una vita sessuale molto intesta ma anche molto stressante da quando l'incubo del HIV ha reso il sesso così rischioso e complicato. Per dare un nuovo senso alla propria esistenza il nostro eroe decide così di non avere più rapporti sessuali e di concentrarsi soltanto sulla propria carriera. Il caso vuole che proprio lo stesso giorno incontri Steve, brillante barman di cui Jeffrey si innamora a prima vista. Quando Steve confesserà a Jeffrey di essere sieropositivo il nostro eroe scapperà a gambe levate per paura di iniziare un rapporto che lui giudica troppo difficile da gestire.
Come è logico aspettarsi da una commedia romantica l'amore alla fine trionferà e Jeffrey capirà finalmente che si può amare anche ai tempi dell'AIDS e che in una relazione la sieropositività di uno dei partner non è un ostacolo insormontabile ma solo una condizione come un'altra.
Scritto con uno stile eclettico, pieno di scene divertenti e di guest star scelte con innegabile gusto camp (su tutti Nathan Lane nella parte di un prete cattolico, gay e ninfomane) "Jeffrey" è un prodotto quasi unico nel panorama dei film GLTB degli ultimi vent'anni: un film finalmente divertente e scorretto in cui non si ride degli omosessuali ma con gli omosessuali; un'opera piena di energia e ottimismo con un messaggio semplice ma rivoluzionario: l'AIDS si combatte anche con l'ironia e la gioia di vivere!
Philadelphia (1993) di Jonathan Demme
Finalmente nel 1993 anche Hollywood decide di trattare, a suo modo, il tema AIDS. Grande budget, protagonisti due star di prima grandezza come Tom Hanks e Danzel Wahsington (prima di loro Daniel Day-Lewis, Michael Keaton, Andy Garcia, Bill Murray e Robin Williams avevano rifiutato il ruolo) più un contorno di grandissimi caratteristi, tutti al servizio di regista talentuoso.
La storia è alquanto semplice: un ricco e affermato avvocato gay (velato) di Philadelphia perde il lavoro quando nel suo studio si viene a sapere che ha contratto il virus dell'HIV. Quando decide di far causa ai sui datori di lavoro l'unico disposto a rappresentarlo in giudizio è un giovane avvocato afro-americano decisamente omofobo. Durante il processo i due avranno modo di conoscersi meglio è diventare amici.
Le regole della settima arte non sono precise e “matematiche” come quella della chimica o della culinaria: sommando ingredienti di prima qualità qualche volta il risultato è una pietanza alquanto piatta e insapore. Il film non va mai oltre la professionalità: lodabili le interpretazione dei protagonisti (Hanks si aggiudicò anche un Oscar per un'interpretazione accorata anche se spesso un po' troppo sopra le righe), pulita e lineare la regia, chiara semplice la sceneggiatura. Anche questo film soffre di una struttura troppo didascalica; da un lato cerca di presentare il dramma dell'AIDS nel modo più realistico possibile ma dall'altro non rinuncia mai ad essere sempre politicamente corretta ad oltranza, soprattutto per non alienarsi i favori del grande pubblico: a non scontentare nessuno, certe volte, si scontentano tutti.
Inoltre sia in "Philadelphia" che in "Che mi dici di Willy?" gli unici malati di AIDS sono o omosessuali o drogati o emofiliaci, un po' come se l'AIDS riguardasse solo queste categorie.
Le notti selvagge (1992) di Cyril Collard
Quando "Le notti selvagge" usci nei cinema di tute Europa fu accompagnato da innumerevoli polemiche e ben presto la pellicola spacco in due pubblico e critica. Basta leggere la trama per capire il perché.
Jean, un giovane cine-operatore bisessuale parigino fidanzato un Laura, inizia una relazione clandestina con Sammy, aitante giocatore di Rugby di origine spagnole. Quando Jean scopre di essere sieropositivo decide di non avvertire i propri partner e di continuare ad avere con loro rapporti sessuali non protetti.
Film disperato ma anche incredibilmente sincero: Collard regista e protagonista della pellicola morirà di AIDS pochi mesi dopo che il film raggiunse le sale francesi. "Le notti selvagge" rimane un'opera difficile da digerire oggi come lo fu più di quindici anni fa. Sia chiaro: fare sesso non protetto, specialmente se si sa di essere sieropositivi, è una follia assoluta, un atto criminale; però in diversi passaggi Collard riesce a comunicare al pubblico in maniera diretta e shoccante tutto il dramma di un giovane che, trovatosi faccia a faccia con la morte, non riesce a far a meno di reagire in modo autodistruttivo e nichilista, forse in maniera troppo narcisista ma senza autocompiacimento.
Jeffrey (1995) di Christopher Ashley
Finiamo la nostra mini-rassegna con una divertente e riuscita commedia.
Scritta da Paul Rudnick (stella nascente del teatro Off di New York, autore di "In & Out" e futuro sceneggiatore del delizioso "La donna perfetta") "Jeffrey" è l'adattamento per il grande schermo una riuscitissima e premiatissima pièce teatrale (in Italia fu portato in scena da Fabio Canino) che impose all'attenzione della critica il giovane autore, tanto da meritarsi il soprannome di "the gay Neil Simon" .
Jeffrey, aitante gay e attore fallito, ha una vita sessuale molto intesta ma anche molto stressante da quando l'incubo del HIV ha reso il sesso così rischioso e complicato. Per dare un nuovo senso alla propria esistenza il nostro eroe decide così di non avere più rapporti sessuali e di concentrarsi soltanto sulla propria carriera. Il caso vuole che proprio lo stesso giorno incontri Steve, brillante barman di cui Jeffrey si innamora a prima vista. Quando Steve confesserà a Jeffrey di essere sieropositivo il nostro eroe scapperà a gambe levate per paura di iniziare un rapporto che lui giudica troppo difficile da gestire.
Come è logico aspettarsi da una commedia romantica l'amore alla fine trionferà e Jeffrey capirà finalmente che si può amare anche ai tempi dell'AIDS e che in una relazione la sieropositività di uno dei partner non è un ostacolo insormontabile ma solo una condizione come un'altra.
Scritto con uno stile eclettico, pieno di scene divertenti e di guest star scelte con innegabile gusto camp (su tutti Nathan Lane nella parte di un prete cattolico, gay e ninfomane) "Jeffrey" è un prodotto quasi unico nel panorama dei film GLTB degli ultimi vent'anni: un film finalmente divertente e scorretto in cui non si ride degli omosessuali ma con gli omosessuali; un'opera piena di energia e ottimismo con un messaggio semplice ma rivoluzionario: l'AIDS si combatte anche con l'ironia e la gioia di vivere!
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venerdì 22 maggio 2009
Gay Statale: storia di uno scontro verbale.
Lo scorso 8 Maggio il neonato gruppo studentesco Gaystatale si è dovuto scontrare con l'inciviltà e l'omofobia di alcuni rappresentanti della lista universitaria ciellina Obbiettivo Studenti, venendo presi a male parole dopo avere difeso da una operazione di "censura" (tramite strappo) le locandine affisse per promuovere questa nuova realtà GLBT.
La notizia è stata riportata in breve anche da La Repubblica. Vi forniamo la versione dei fatti data da questi nostri amici, confermata da più di una testimonianza. Enrico, referente del gruppo, ci ha raccontato: "Nel pomeriggio io e Valerio stavamo procedendo al nostro giro di volantinaggio delle bacheche della sede di via Festa del Perdono. Ad un banchetto di Obiettivo Studenti posizionato davanti alle aule 208-211 si trovavano una decina di ragazzi. Abbiamo sorpreso uno di questi staccare uno dei nostri volantini, fatto che si ripete con incredibile costanza e sistematicità. Di fronte alla nostra richiesta sul perché staccassero i nostri volantini, i ragazzi del banchetto hanno risposto, con atteggiamento strafottente, 'perché non ci piacciono'. Noi abbiamo fatto notare che noi non stacchiamo i loro, benché non ci piacciano, e la risposta è stata: 'ci mancherebbe altro!'. Di fronte alle lamentele sul loro atteggiamento scorretto, mi sono sentito apostrofare: 'Datti una calmata, bambina!'".
Tra sghignazzate troglodite queste persone così per bene poco prima si erano rivolte all'altro volontario in questi squisiti termini: "Dai, vieni qui che te lo spingo!". Ad una seconda e ferma richiesta del perché ci fosse un comportamento ostile nei confronti di Gaystatale, poi, i volontari sono stati ulteriormente presi in giro (i volantini sarebbero addirittura stati staccati per due settimane consecutive dai ciellini... per leggerli meglio!!!). Gaystatale, non ottenendo alcuna spiegazione, ha quindi inviato a Obbiettivo Studenti una lettera, chiedendo chiarimenti.
La risposta di Obbiettivo Studenti - sotto elezioni universitarie - è stata di scuse accompagnate ad un "ci battiamo per una reale libertà di espressione in università e continueremo a farlo" congiunte ad una dichiarazione di impossibilità di controllo della minoritaria presenza di "teste calde". Peccato notare come la minoranza delle "teste calde" isolate fosse composta dalla decina di ragazzi presenti come attivisti al banchetto elettorale di Obiettivo Studenti, referenti pubblici, quindi, in quel momento, della lista in questione. Se Obbiettivo Studenti avesse voluto fare davvero qualcosa che dimostrasse il proprio amore per i valori di dignità umana che tanto sbandiera, avrebbe potuto fare la grazia di mettere alla porta quegli incivili... a meno che nella lista studentesca di CL siano così sprovveduti da non sapere chi mettono come propri rappresentanti ai banchetti di promozione a pochi giorni dalle elezioni politiche: il che fa riflettere bene sull'opportunità che queste persone si candidino a posizioni di rilievo che richiedano concentrazione, precisione e soprattutto conoscenza della realtà in cui vivono.
La nostra più viva solidarietà ai ragazzi di Gaystatale.
(Panunzio)
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